Dopo l'allestimento sorprendente
della Calisto di Francesco Cavalli firmato da David McVicar
dello scorso anno, è arrivata alla Scala una seconda opera del
barocco italiano, anzi in questo caso napoletano, Li zite
ngalera, di Leonardo Vinci.
Le premesse per un successo c'erano tutte: un libretto che
ricorda la commedia dell'arte, Goldoni prima di Goldoni (Li zite
è del 1722), una musica composta da uno dei massimi esponenti
del genere, un cast previsto en travesti, e quindi attuale nel
suo essere gender fluid. Il risultato è uno spettacolo che non
sorprende.
Il regista Leo Muscato, con la scenografa di Federica
Parolini e i costumi di Silvia Aymonino, ha mantenuto
l'ambientazione originale, solo trasponendo la vicenda da un
vicolo di Vietri alla locanda di Meneca Vernillo (interpretata
da Alberto Allegrezza), di cui si vedono scorrere le diverse
stanze mentre si dipana la vicenda complicata. Per cercare
l'innamorato che l'ha abbandonata Belluccia (Chiara Amarù)
lascia casa travestita da uomo, con il nome di Peppieniello. Di
lui tutte si innamorano alla locanda, sia Meneca che soprattutto
la bellissima Ciomma (Francesca Pia Vitale) di cui sono
innamorati tutti i maschi, a partire da Titta (Filippo Mineccia)
ma soprattutto Carlo (interpretato dall'applaudita Francesca
Aspromonte). E Carlo è l'innamorato di Belluccia con cui alla
fine - dopo una serie di avventure, la comparsa anche di
Pulcinella, una festa in cui gli stessi cantanti si mettono a
ballare e suonare - si riunisce con la benedizione del padre di
lei, il comandante Federico Mariano (Filippo Morace), che porta
gli sposi (zite) via con la sua nave, la galera del titolo.
Alla fine otto minuti di applausi per tutti, a cominciare dal
direttore Andrea Marcon, che ha diretto gli strumentisti
barocchi della Scala a cui si sono aggiunti una decina di
musicisti della Cetra Barockorchester. Repliche fino al 21
aprile, con ultima rappresentazione visibile in diretta
streaming su lascala.tv.
Riproduzione riservata © Copyright ANSA