Si ritrovò in mano per caso colori
e pennello e fu così che Salvatore Quasimodo si esercitò anche
nell'arte visiva: un unico esperimento che, nel segno
dell'astrattismo, produsse 27 gouaches, frutto della tecnica che
usa colori a tempera opachi. Quasimodo non era forse convinto
del valore artistico di quei dipinti, lui che con la pittura non
aveva mai avuto altri rapporti se non quelli della divulgazione,
e voleva distruggerli. Ancora una volta il caso si intromise
tramite l'amico poeta Alberto Lùcia, scomparso nel 1995, che
conservò le opere facendosi rilasciare da Quasimodo una
dichiarazione di donazione. Ora quei 27 dipinti, custoditi per
tanti anni in un caveau di una banca tedesca, si possono vedere
nelle sale del museo Riso di Palermo in una mostra (aperta dal 6
dicembre) dal titolo lungo ma intrigante: "Oltre Quasimodo. Le
27 gouaches. Sapevo già tutto, e volli peccare".
Il titolo riprende le parole che il poeta, premio Nobel nel
1959, scrisse in una lettera alla danzatrice Maria Cumani (con
cui aveva una relazione dalla quale nacque il figlio Tommaso)
nella quale era citata una frase dal Prometeo di Eschilo. Si
riferiva alle sofferenze fisiche e "dello spirito" a causa del
suo amore per la poesia. In un libro del 1993 il figlio Tommaso
Quasimodo ha accostato ogni opera a versi del padre nei quali
ricorre la parola "cuore". È l'abbinamento riproposto ora nella
mostra di palazzo Riso.
La casuale incursione pittorica del poeta fu causata nel 1953
proprio da Lùcia che si presentò nello studio di Quasimodo a
Milano con un pacco destinato non a lui ma al drammaturgo
siciliano Beniamino Joppolo che in quel periodo viveva a Parigi
e non stava bene, tanto che lo psicologo gli consigliò di
riprendere a dipingere. Quasimodo, uomo di grande curiosità,
aprì il pacco e vi trovò colori e pennelli destinati a Joppolo.
Tenne tutto per sé, spinto da un interesse stavolta diretto
verso la pittura che lo portò a sperimentare piccole
composizioni.
"È una mostra preziosa che ci permette di scoprire un lato
inedito e inaspettato del grande premio Nobel", dice l'assessore
regionale ai Beni culturali e Identità siciliana Francesco Paolo
Scarpinato. La direttrice del museo Riso, Evelina De Castro,
coglie un collegamento tra quei dipinti e il fervore culturale
di quel tempo nel quale le suggestioni dell'astrattismo
emergevano tra le ultime espressioni di un ermetismo, di cui
Quasimodo era uno dei maggiori interpreti, incentrato sul
rapporto tra parola, immagine e intimità.
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