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Carbone, favola camorrista sulla Napoli del dopoguerra

Carbone, favola camorrista sulla Napoli del dopoguerra

forza delle donne in un divertente romanzo paradossale e vero

ROMA, 05 marzo 2025

Redazione ANSA

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(di Paolo Petroni) ALESSANDRO CANALE, ''LA GRAN MAMMA - Favola camorrista'' (FAZI, pp. 148 - 16,00 euro) - 'E mo vatt'a cuccà che è tardi. Aggio finì 'o ragù''. Finisce così, con un napoletanissimo tocco, questo divertente, semplice, leggero romanzo tragicomico che comunque, sulla Napoli dell'immediato dopoguerra e sulla nascita della nuova camorra, ridendo e scherzando, qualcosa ci racconta, attraverso Don Calogero Martorio che, nel periodo subito seguente alla Liberazione, da tutti i capi dei vari Quartieri della città dovrebbe essere consacrato il capintesta assoluto, il Mammasantissima.
    Qualcosa ci racconta e con sapienza narrativa fa si che questo avvenga, in una società nella società che più maschilista non si potrebbe, nientedimeno che da una donna, Donna Filomena, che col suo spirito pratico e di donna di mondo capisce la situazione e indica che strada si dovrà seguire d'ora innanzi. Sarà lei quindi a mettersi in mezzo e mettere in crisi tutti quei capi, ma sapendolo farlo, sapendo gestirli, metterli in ansia, spingerli a acconsentire, con l'inevitabile intuito femminile cui si aggiunge quella sapienza e la vivacità di spirito che gli viene dall'essere figlia del povero Don Vittorio Capocecere, lui sì capintesta assoluto ''cui bastava alzare un sopracciglio per ribadire un'autorità senza discussioni''.
    Ecco che allora Don Calogero, che finalmente pensa di riuscire a non passare solo più per il marito della figlia di Don Vittorio, ma trovare una sua identità e riconoscimento del potere, sarà il primo a trovarsi davanti alla moglie, perché la serata che deve consacrarlo è quella in cui prendere una decisone per capire e condannare chi ha ucciso Zumpatiello. E' scontato per tutti che il colpevole sia Carmine Atriere, ma il tribunale detto Gran Mamma ha delle regole, bisogna siano presenti tutti, per ottenere l'unanimità che necessità una condanna a morte; poi che i giudici siano dispari, cosa che non è per l'assenza ingiustificata (e forse offensiva) di uno dei capi, Don Ferdinando Nas' 'e puorc', mentre giustificati erano due chiusi in galera, uno confinato molto lontano e Mariano Coppola Storta, scomparso dal giorno in cui un anno prima la motonave Caterina Costa era saltata in aria davanti al rione Sant'Erasmo. Fu così che Armando Ausiello disse che si poteva coinvolgere Donna Filomena, siccome ''in casi eccezionali… a discrezione dei presenti'' può chiamare a giudicare anche chi non sia capo di un Quartiere, e la signora in questione aveva tutta l'autorità che gli veniva dal padre.
    Il racconto, in parte in un napoletano non so quanto corretto ma che serve a fare atmosfera, procede in assoluta leggerezza di stile e gusto, con ironia paradossale, ma senza dimenticare che alla fine anche di un giallo si tratta e il colpevole dell'assassinio di Zumpatiello, che lascia moglie e cinque figli, va trovato e magari non è quello che tutte le apparenze indicano. Lo sanno le donne che girano per le strade e ascoltano le voci, si scambiano confidenze al mercato, e finiscono per formare ''una Società onorata parallela, misericordiosa di cui Filomena Capocecere era la Madre Santissima'', e della quale gli uomini non si erano mai accorti e era il momento di farglielo capire. Quindi, tra una cosa e l'altra, una sorpresa e una ricostruzione del delitto, un'attenzione alla coltellata micidiale, che fu data dal basso verso l'alto e non, come d'uso, al contrario, ecco appare un'altra verità ma anche, pian piano, una nuova visione del futuro di questa Bella Società Organizzata. Quindi, più che una favola camorrista, pare, nella sua costruzione elementare, una semplice, paradossale parabola, un divertimento semplice ma con un suo realismo, tra un sartù di riso e la cottura di un ragù.
   

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