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(di Paolo Petroni)
ALESSANDRO CANALE, ''LA GRAN MAMMA
- Favola camorrista'' (FAZI, pp. 148 - 16,00 euro) - 'E mo
vatt'a cuccà che è tardi. Aggio finì 'o ragù''. Finisce così,
con un napoletanissimo tocco, questo divertente, semplice,
leggero romanzo tragicomico che comunque, sulla Napoli
dell'immediato dopoguerra e sulla nascita della nuova camorra,
ridendo e scherzando, qualcosa ci racconta, attraverso Don
Calogero Martorio che, nel periodo subito seguente alla
Liberazione, da tutti i capi dei vari Quartieri della città
dovrebbe essere consacrato il capintesta assoluto, il
Mammasantissima.
Qualcosa ci racconta e con sapienza narrativa fa si che questo
avvenga, in una società nella società che più maschilista non si
potrebbe, nientedimeno che da una donna, Donna Filomena, che col
suo spirito pratico e di donna di mondo capisce la situazione e
indica che strada si dovrà seguire d'ora innanzi. Sarà lei
quindi a mettersi in mezzo e mettere in crisi tutti quei capi,
ma sapendolo farlo, sapendo gestirli, metterli in ansia,
spingerli a acconsentire, con l'inevitabile intuito femminile
cui si aggiunge quella sapienza e la vivacità di spirito che gli
viene dall'essere figlia del povero Don Vittorio Capocecere, lui
sì capintesta assoluto ''cui bastava alzare un sopracciglio per
ribadire un'autorità senza discussioni''.
Ecco che allora Don Calogero, che finalmente pensa di riuscire
a non passare solo più per il marito della figlia di Don
Vittorio, ma trovare una sua identità e riconoscimento del
potere, sarà il primo a trovarsi davanti alla moglie, perché la
serata che deve consacrarlo è quella in cui prendere una
decisone per capire e condannare chi ha ucciso Zumpatiello. E'
scontato per tutti che il colpevole sia Carmine Atriere, ma il
tribunale detto Gran Mamma ha delle regole, bisogna siano
presenti tutti, per ottenere l'unanimità che necessità una
condanna a morte; poi che i giudici siano dispari, cosa che non
è per l'assenza ingiustificata (e forse offensiva) di uno dei
capi, Don Ferdinando Nas' 'e puorc', mentre giustificati erano
due chiusi in galera, uno confinato molto lontano e Mariano
Coppola Storta, scomparso dal giorno in cui un anno prima la
motonave Caterina Costa era saltata in aria davanti al rione
Sant'Erasmo. Fu così che Armando Ausiello disse che si poteva
coinvolgere Donna Filomena, siccome ''in casi eccezionali… a
discrezione dei presenti'' può chiamare a giudicare anche chi
non sia capo di un Quartiere, e la signora in questione aveva
tutta l'autorità che gli veniva dal padre.
Il racconto, in parte in un napoletano non so quanto corretto
ma che serve a fare atmosfera, procede in assoluta leggerezza di
stile e gusto, con ironia paradossale, ma senza dimenticare che
alla fine anche di un giallo si tratta e il colpevole
dell'assassinio di Zumpatiello, che lascia moglie e cinque
figli, va trovato e magari non è quello che tutte le apparenze
indicano. Lo sanno le donne che girano per le strade e ascoltano
le voci, si scambiano confidenze al mercato, e finiscono per
formare ''una Società onorata parallela, misericordiosa di cui
Filomena Capocecere era la Madre Santissima'', e della quale gli
uomini non si erano mai accorti e era il momento di farglielo
capire. Quindi, tra una cosa e l'altra, una sorpresa e una
ricostruzione del delitto, un'attenzione alla coltellata
micidiale, che fu data dal basso verso l'alto e non, come d'uso,
al contrario, ecco appare un'altra verità ma anche, pian piano,
una nuova visione del futuro di questa Bella Società
Organizzata. Quindi, più che una favola camorrista, pare, nella
sua costruzione elementare, una semplice, paradossale parabola,
un divertimento semplice ma con un suo realismo, tra un sartù di
riso e la cottura di un ragù.
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