I costituenti discussero a lungo della immunità parlamentare prima di inserirla in Costituzione con l'articolo 68. Molti furono i dubbi come dimostrano i documenti delle sottocommissioni che lavorano al tema. Si trattava di una norma di garanzia che risentiva del clima di forte scontro politico di quegli anni e dell'esperienza del Ventennio.
L'immunità era ampia, prevedeva che non si potesse neppure avviare un procedimento giudiziario senza l'autorizzazione della Camera di appartenenza. Solo nella prima legislatura,ad esempio, furono presentate alla Camera 501 autorizzazioni a procedere: solo 67 furono accolte, 7 furono ritirate, 239 respinte e 188 sostanzialmente "dimenticate" nei cassetti della Giunta per le autorizzazioni tanto da far entrare nel gergo parlamentare la dizione di "pratica banana" cioè di autorizzazione a procedere in attesa di maturazione per una risposta alla magistratura che non sarebbe mai arrivata. Il tema della revisione della immunità, come un serpente di mare, si inabissò e riemerse più volte nel corso degli anni seguendo le alterne vicende della politica. Nel 1972 Giulio Andreotti al primo dei suoi sette esecutivi, inserì la riforma della immunità nel programma di governo per compiacere gli alleati liberali. Appena due anni dopo, nel 1974, un doroteo doc come Flaminio Piccoli poteva credibilmente proporre di estendere l'immunità dei parlamentari a tutti i consiglieri comunali, provinciali e regionali. Altri tempi, certo. Fu solo l'onda lunga di Tangentopoli a costringere il Parlamento a rivedere l'immunità stringendo in alcuni passaggi le maglie delle norme varata dai costituenti.
Nelle prime 10 legislatura lo scandalo della norma di garanzia aveva via mostrato tutte le sue evidentissime e mai affrontate crepe; alla Camera, su 2717 richieste di autorizzazione a procedere, ben 2202 non erano state concesse. E così una norma di garanzia era divenuta la più tenace copertura alla degenerazione del sistema che tangentopoli scoperchiò dal manto di ipocrisia che la celava. La revisione fu inevitabile.
Infatti l'attuale formulazione della immunità delimita con chiarezza dove, come e in quale modo la magistratura può intervenire nel caso di un parlamentare.
A fissare gli attuali "paletti" fu la riforma del 1993 che escluse dall'immunità parlamentare il caso in cui un deputato dovesse essere perseguito in virtù di una sentenza di condanna passata in giudicato, eliminando al contempo la necessità dell'autorizzazione a procedere per sottoporlo a procedimento penale. L'autorizzazione delle Camere rimane solo per l'arresto, la perquisizione o il sequestro delle comunicazioni.
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