I dazi imposti dagli Usa potrebbero
mettere a rischio il settore agroalimentare di una provincia
italiana su cinque. Nella lista delle province ad alto rischio,
a seguito delle barriere protezionistiche annunciate da Trump,
secondo l'Ufficio studi di Cia-Agricoltori Italiani ce ne sono
21 - su un totale di 107 - le cui esportazioni di food verso gli
Stati Uniti generano un valore superiore ai 100 milioni di euro.
La più esposta, in questa classifica che guarda ai valori
assoluti dell'export, è la provincia di Salerno con 518 milioni,
suddivisi soprattutto in ortofrutta lavorata e conserve di
pomodoro, oltre a zucchero, cacao e condimenti vari. Segue
Milano, con 422 milioni di spedizioni verso gli Stati Uniti, che
vedono in primo piano le bevande alcoliche da aperitivo. Cuneo
è, invece, regina dell'export di vini con quasi 400 milioni di
euro venduti negli Usa dalle cantine dell'Albese, delle Langhe e
del Roero (Barolo e Barbaresco, in primis). Poco fuori dal
triste podio il trevigiano con il prosecco delle colline di
Valdobbiadene (355 milioni) e la Food Valley di Parma, 306
milioni, nella quale i dazi colpiranno soprattutto i Consorzi di
Parmigiano e Prosciutto e le conserve di pomodoro.
C'è, poi, il confronto sui valori percentuali, con un quadro
ugualmente allarmante, che mette in risalto le province più
vulnerabili, perché tanto dipendenti dall'export verso gli Stati
Uniti. Se Grosseto, infatti, esporta negli Usa 236 milioni di
olio d'oliva, preoccupa ancor di più che queste spedizioni
rappresentino il 71% di tutte le vendite agroalimentari della
provincia verso l'estero. Senza contare, osserva il presidente
nazionale Cia, Cristiano Fini.che "anche con un valore inferiore
ai 100 milioni di export, sono tante le province piccole e
rurali per le quali l'impatto sull'economia locale sarebbe
maggiore rispetto ai territori più ricchi, che riescono a
diversificare i loro sbocchi commerciali".
Cia valuta particolarmente fragili le situazioni di Nuoro e
Sassari, che destinano al mercato statunitense il 65% di tutta
la loro produzione agroalimentare, soprattutto quel Pecorino
romano prodotto per il 90% in Sardegna utilizzato oltreoceano
dall'industria alimentare per aromatizzare patatine in busta e
altri snack. "Se il prezzo del Pecorino romano non sarà più
competitivo, verrà probabilmente sostituito da altri formaggi di
pecora americani -evidenzia Fini- determinando un crollo per
l'economia delle province dell'isola che si regge su quella
filiera. A preoccupare sarà il prezzo del latte, che potrà
subire contraccolpi immediati".
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