Bloccare la crescita dei tumori prendendo di mira proteine chiave, uccidere le cellule capaci di far ricrescere il cancro dopo il trattamento, ma anche sfruttare come alleate cellule adipose modificate che fanno morire di fame i tumori: sono tra i più recenti esperimenti, condotti in laboratorio, che promettono di mettere a punto nuove armi sempre più efficaci nella lotta al cancro, e che ora puntano a compiere il fondamentale passo avanti verso i trial clinici sugli esseri umani.
Tra gli approcci più innovativi c’è quello che vede protagoniste le cellule del tessuto adiposo modificate per affamare quelle tumorali: nello studio pubblicato sulla rivista Nature Biotechnology e coordinato dall’Università della California a San Francisco, i ricercatori hanno prelevato normali cellule adipose bianche e le hanno modificate in laboratorio tramite Crispr, la tecnica taglia-e-cuci del Dna, riattivando geni dormienti che consentono di bruciare molte più calorie allo scopo di produrre calore. Questo comportamento è tipico del tessuto adiposo bruno, normalmente presente nel corpo in piccole quantità, e perciò le cellule ingegnerizzate sono dette ‘beige’.
Una volta impiantate accanto a quelle cancerose in laboratorio e nei topi, le cellule diventate ‘super-voraci’ hanno dato risultati sorprendenti, privando il tumore del carburante necessario per crescere: la tecnica è riuscita a battere cinque diverse forme di cancro: quello del colon, del pancreas, della prostata e due forme di tumore della mammella. L’efficacia, inoltre, è rimasta inalterata anche quando le cellule adipose sono state poste lontano dal sito del tumore: una caratteristica, questa, che potrebbe rivelarsi preziosa per trattare i tumori difficili da raggiungere, come il glioblastoma che colpisce il cervello.
Proprio il glioblastoma, insieme ad altri tumori che colpiscono il cervello come il medulloblastoma, tra i più comuni nei bambini, è il bersaglio di un nuovo farmaco che prende di mira le cellule staminali del tumore. molto pericolose, perché possono far riformare il tumore dopo la terapia. Il farmaco, noto con la sigla CT-179, è stato sperimentato nello studio pubblicato su Nature Communications, guidato dall’americana Emory University e dall’australiano Istituto di ricerca medica Berghofer Qimr. I risultati mostrano che, in associazione ad altre terapie, il farmaco uccide le staminali tumorali.
Un altro gruppo di ricerca, dell’Università della California a San Francisco, guidato dall'italiano Davide Ruggero, ha poi scoperto una proteina chiave finora passata inosservata, chiamata RBM42, presente normalmente nelle cellule ma che, in caso di tumore, prende a comportarsi in maniera diversa, Può infatti dirottare le fabbriche di proteine cellulari verso la produzione preferenziale di Myc, un’altra proteina ben nota legata alla crescita tumorale, che si moltiplica in maniera incontrollata nel 70% dei casi. La ricerca, pubblicata su Nature Cell Biology, dimostra che bloccando RBM42 si può impedire lo sviluppo di uno dei tumori più aggressivi, quello del pancreas. “Questa proteina - dice Ruggero - sembra davvero essere il tallone d'Achille di alcuni dei tumori peggiori”.
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