Per una trentina di secondi sono rimasti a pochi metri di distanza nella stessa aula di Tribunale. L'ex Nar Gilberto Cavallini, condannato in primo grado all'ergastolo, nel gennaio 2020, per concorso nella strage del 2 agosto 1980, e Paolo Bellini, l'ex di Avanguardia Nazionale che secondo la Procura generale di Bologna era alla stazione il giorno dell'attentato ed è anche lui da considerare uno degli esecutori. Cavallini era in veste di testimone assistito ed aveva già annunciato di non voler rispondere (come suo diritto) alle domande.
Cappellino in testa e sguardo basso l'ex Nar ha detto quindi di volersi avvalere della facoltà di non rispondere e ha lasciato l'aula, carica di tensione, senza degnare di uno sguardo Bellini, in compagnia dei suoi avvocati. Nessuna parola, nemmeno con i giornalisti, a parte un "buon lavoro, non ho niente da dire". "Questo non è il suo processo", ha detto invece uno dei suoi avvocati Alessandro Pellegrini, riferendosi al fatto che il prossimo autunno l'ex Nar dovrà difendersi nel procedimento di secondo grado davanti alla Corte d'Assise d'Appello di Bologna.
Il nuovo processo sulla strage che sta cominciando ad entrare nel vivo vede anche altri due imputati oltre a Bellini: l'ex carabiniere Piergiorgio Segatel per depistaggio e Domenico Catracchia, amministratore di alcuni immobili di via Gradoli a Roma usati come rifugio dai Nar, per false informazioni al pm al fine di sviare le indagini. Ma in aula, al momento, i nomi tirati in ballo più spesso dai Pg e dai testimoni sono altri, ovvero il Venerabile della P2 Licio Gelli, l'imprenditore e banchiere Umberto Ortolani, l'ex prefetto ed ex capo dell'ufficio Affari Riservati del ministero dell'Interno Federico Umberto D'Amato e il giornalista iscritto alla P2 ed ex senatore dell'Msi, Mario Tedeschi, ritenuti a vario titolo mandanti, finanziatori o organizzatori dell'attentato.
"La strage di Bologna fu finanziata dalla P2 e compiuta da elementi di estrema destra manovrati dai servizi deviati", è la tesi dell'accusa, che fino ad ora ha cercato di inquadrare il periodo precedente alla strage e le voci che circolavano nell'ambiente di "un grosso attentato di cui avrebbero parlato tutti i giornali", come ha riferito in aula il giudice Giovanni Tamburino, che nel luglio 1980 ricevette questa confidenza del detenuto Luigi Vettore Presilio. Poi ci sono i soldi, il flusso di denaro pari a circa 15 milioni di dollari documentati dal cosiddetto 'Appunto Bologna', trovato nel portafoglio di Gelli al momento del suo arresto a Ginevra nel settembre del 1982. L'operazione finanziaria, secondo gli investigatori, cominciò nel febbraio del 1979 e continuò fino a dopo la strage: 5 milioni il prezzo dell'attentato, soldi che vennero sottratti al Banco Ambrosiano di Calvi da Gelli e Ortolani e finirono in conti svizzeri intestati a prestanome, come l'imprenditore toscano Marco Ceruti, al momento introvabile. Soldi che poi arrivarono agli attentatori, non solo i Nar ma anche altri elementi della destra eversiva (è la tesi della Procura generale), e riempirono inoltre le tasche di D'Amato e Tedeschi.
Il personaggio Bellini, ladro, omicida, poi collaboratore dei carabinieri nell'ambito della trattativa Stato-mafia fino ad ora è rimasto in secondo piano, anche se nell'ultima udienza l'antiquario Agostino Vallorani, seppur a mezza bocca, incalzato dalle domande di Pg e parti civili ha confermato quanto già detto agli investigatori durante le indagini: "Bellini era considerato da me un personaggio indecifrabile e potenzialmente pericoloso".
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