"E' un processo farsa. Forse hanno
fatto bene i parenti di altre vittime ad accettare il
risarcimento". Lo ha detto al termine della prima udienza del
processo per il crollo della Torre Piloti del porto di Genova la
mamma di Giuseppe Tusa, una delle nove vittime. Adele Tusa tiene
stretta al cuore la foto del figlio: è affranta ma determinata.
E' lei che con un esposto in Procura ha chiesto di indagare
anche sul posizionamento della Torre piloti e su eventuali
responsabilità di chi ne autorizzò la costruzione in quel punto.
E ora per questa inchiesta bis sono indagati due ingegneri per
omicidio colposo.
"All'epoca – è lo sfogo di Adele Tusa - la Procura sostenne
che la Torre era un fattore irrilevante e ininfluente. Ma anni
prima aveva subito un altro incidente perché una nave in avaria
vi finì contro. Quello doveva essere un campanello d'allarme.
Era una struttura priva di ogni sicurezza per chi vi lavorava".
Adele Tusa prosegue: "Bastava una banchina di tre-quattro
metri per evitare che la nave urtasse la torre". La mamma di
Giuseppe, accompagnata dalla figlia Silvana, è arrivata dalla
Sicilia, è quasi rassegnata ma battagliera: "Alla fine le
condanne saranno da uno a tre anni per omicidio colposo. Ma io
non darò tregua. Voglio giustizia per ogni singola
responsabilità. Ho fatto denunce, diffide, querele. Non darò
pace perché hanno rovinato un'intera famiglia. Sono anche
disposta a rivolgermi alla Corte Europea perché hanno violato un
diritto costituzionale: la vita di un uomo non va toccata". Poi
ricorda come apprese la notizia. "Fu Silvana ad avvertirmi –
racconta – l'aveva appreso dalla tv ma si era limitata a dirmi
che Giuseppe era in ospedale perché aveva avuto un incidente.
Non aveva avuto il coraggio di dirmi la verità. L'appresi in
Capitaneria di porto a Genova, dove ci precipitammo. Ho sempre
pensato che nel posto dove lavorava Giuseppe fosse in una botte
di ferro. Io l'avevo affidato allo Stato che me lo ha restituito
in una cassa di legno".
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