Ha esercitato il diritto di
critica ed è, quindi, stato assolto con la formula "perchè il
fatto non costituisce reato", Paolo Mieli, querelato per
diffamazione dall'ex consigliere del Csm Piercamillo Davigo per
via di una frase apparsa in un suo editoriale pubblicato dal
Corriere della Sera il 5 giugno 2020 sul sito web, e il giorno
dopo sull'edizione cartacea, intitolato "Le correnti dei
magistrati e la giustizia rimossa",
Lo ha deciso il giudice monocratico della terza sezione
penale del Tribunale Luigi Varanelli che ha accolto la richiesta
di assoluzione avanzata dal pm Paolo Filippini in quanto Mieli
"non ha fatto altro che proporre", a proposito del tema delle
"difficoltà della giustizia", una lettura "di secondo livello
introducendo una critica che è l'essenza del fare il
giornalista" ed è un "diritto"
Davigo, tramite il suo legale, l'avvocato Francesco Borasi,
ha chiesto invece di ritenerlo responsabile e un risarcimento
danni pari a 15 mila euro.
A centro della vicenda per cui l'ex pm di Mani Pulite e l'ex
direttore del quotidiano di via Solferino sono stati 'avversari'
in un'aula di giustizia, è nata dall'intervista di Luca
Palamara, nel corso della trasmissione "Non è l'Arena" andata in
onda su La7 il 31 maggio di due anni fa. Da qui l'editoriale di
Mieli con la frase in cui si dice che Palamara, rispondendo a
una domanda precisa, "ha lasciato intendere" di aver preso parte
alla designazione dei più importanti procuratori della
Repubblica, "talvolta (..) d'accordo con l'uomo di maggior
rilievo (per prestigio, notorietà e forza acquisita) nella
magistratura italiana", ossia Davigo, o "quantomeno con qualcuno
della sua corrente". Una frase che per i magistrati rientra nel
diritto di critica.
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