Il suo desiderio era di tornare in Sardegna. Uscire dal carcere perché malato e rientrare nella sua Orgosolo (Nuoro). Forse per morire da uomo libero, non dietro le sbarre. Solo in parte questo desiderio è stato esaurito. Dopo meno di 24 ore dalla sua scarcerazione per gravi motivi di salute Graziano Mesina è morto otto giorni dopo avere compiuto 83 anni.
E già infuriano le polemiche per la fine dell'ex primula rossa del banditismo sardo che stava scontando 24 anni di reclusione nel carcere di Opera a Milano e da ieri si trovava nel reparto penitenziario dell'ospedale San Paolo del capoluogo lombardo, lo stesso che ha ospitato Bernardo Provenzano che vi morì nel 2016 anch'egli all'età di 83 anni. "Grazianeddu" - uno dei soprannomi più conosciuti dell'ex bandito sardo - è arrivato in reparto quando ormai era già malato terminale. Le due sue legali, Beatrice Goddi e Maria Luisa Vernier, in questi anni avevano richiesto sette volte il differimento pena per motivi di salute al tribunale di Milano, ma sempre l'istanza era stata respinta. Solo ieri, quando ormai - come raccontato dalle due avvocate - le sue condizioni di salute sono precipitate per una patologia oncologica "diffusa e incurabile", l'ultima richiesta è stata accolta.
A causa della malattia non camminava più, non si alimentava, non parlava e aveva difficoltà a riconoscere le persone. "Fino all'ultimo Graziano Mesina è rimasto in carcere - osserva oggi l'avvocata Goddi - Su di lui c'è stato una sorta di accanimento. Siamo molto dispiaciute e anche contrariate perché si poteva scarcerarlo prima, almeno un mese fa". E proprio per le sue condizioni di salute precarie le due legali e la famiglia stavano già organizzando da ieri il trasferimento in Sardegna che ora avverrà solo per celebrare il suo funerale. "Verso Mesina vendetta di Stato. Hanno aperto le porte del carcere per mandarlo a morire nel reparto detentivo ospedaliero", stigmatizza la garante dei detenuti della Sardegna Irene Testa che rincara: "Non c'è stata pietà né senso di umanità".
"Non è come un suicidio in carcere ma far morire lontano dalla Sardegna un malato terminale come Mesina è una inutile crudeltà - gli fa eco il deputato del Pd Silvio Lai - garantire a tutte le persone un fine vita dignitoso vicino ai propri familiari è un diritto che deve essere garantito a tutti, anche a chi, come Graziano Mesina, aveva un debito da pagare con la giustizia".
E di debiti con la giustizia Mesina, definito a lungo anche "l'ultimo balente" (un coraggioso) ne ha pagato tanti, avendo trascorso oltre 40 anni in carcere, intervallati da fughe rocambolesche da treni, carceri e caserme e periodi di latitanza. Da ricercato - confessò - andò, camuffato, al vecchio stadio Amsicora per assistere a una partita del Cagliari di Gigi Riva - per il quale aveva una grande ammirazione - e che proprio oggi, 55 anni fa, conquistava l'unico scudetto rossoblù. Quando nel novembre 2004 Carlo Azeglio Ciampi gli concesse la grazia, tornò nella sua terra e si improvvisò guida turistica nel Supramonte. Fece da mediatore - così disse all'epoca ai giornalisti - anche nella trattativa tra la famiglia e i rapitori del piccolo Farouk Kassam.
Su di lui sono stati scritti libri e divenne persino protagonista - interpretato da Terence Hill - di un film diretto da Carlo Lizzani. L'ultima condanna gli è stata inflitta nel luglio del 2020: 30 anni di carcere ricalcolati poi a 24 per associazione a delinquere finalizzata al traffico di droga. Per Mesina, che all'epoca aveva 78 anni, forse era come ricevere la pena all'ergastolo e divenne irreperibile. Inserito tra i super-latitanti venne arrestato dopo un anno e mezzo a Desulo (Nuoro) e dal dicembre del 2021 era in carcere a Opera.
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