Anche se non ha tratto alcun
vantaggio economico dall'aver 'affidato a un suo amico, figlio
di un boss mafioso, l'incarico di riscuotere un credito
"lecito'" da un imprenditore in favore di un suo conoscente, per
la Cassazione non è da mettere in discussione la condanna a tre
anni e sei mesi per concorso in estorsione aggravata dal metodo
mafioso nei confronti di Fabrizio Miccoli, l' ex bomber del
Palermo Calcio.
Ad avviso dei supremi giudici - che hanno depositato le
motivazioni del verdetto emesso il 23 novembre 2021 - Miccoli
sapeva delle "pressioni" che avrebbe fatto il suo amico Mauro
Lauricella, figlio del boss della famiglia palermitana di
Brancaccio Antonino detto 'Scintillone', per ottenere la
riscossione dei 12mila euro che l'ex fisioterapista della
squadra rosanero Giorgio Gasparini, che si era rivolto all'ex
bomber, vantava nei confronti dell'imprenditore Andrea
Graffagnini per la cessione di quote della società che gestiva
la discoteca 'Paparazzi' a Isola delle Femmine.
Per i supremi giudici, a scagionare l'ex calciatore - che dal
24 novembre scorso si è consegnato nel carcere di Rovigo e
attende di sapere l'esito della sua richiesta di affido ai
servizi sociali per svolgere lavoro socialmente utile - non
servono gli sms nei quali, secondo la sua difesa, invita
Lauricella a "parlare tranquillo" senza "minacciare nessuno" dal
momento che ha seguito passo passo tutta l'attività svolta dal
figlio del boss per recuperare il credito e poi ha lui stesso
restituito la somma contesa a Gasparini, 'decurtata' di quanto
spettava a Lauricella.
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