Sono 460 mila gli infermieri che
in Italia lavorano nelle corsie degli ospedali, nei reparti di
terapia intensiva, nelle residenze per anziani o al fianco di
malati terminali. La pandemia ha rivelato, però, quanto la
categoria abbia bisogno di essere supportata, visto che gli
infermieri italiani sono tra i meno pagati in Europa. Secondo
l'Observatory on healthcare organizations and policies in Italy
(Oasi) di Cergas Bocconi, oggi mancano all'appello 70 mila
infermieri. Un dato che, nella Giornata internazionale
dell'infermiere, preoccupa il Fnopi che ha tenuto il secondo
congresso nazionale itinerante al teatro Politeama di Palermo,
evento che ha ricevuto il riconoscimento della "Medaglia di
rappresentanza" da parte del presidente della Repubblica Sergio
Mattarella. Una onoreficenza che esprime l'ideale partecipazione
del capo dello Stato a iniziative ritenute particolarmente
meritevoli. Un ruolo fondamentale, quello degli infermieri,
riconosciuto anche dalla politica come dimostrano i numerosi
attestati come quello del presidente della Camera Fico: "donne e
uomini eccezionali che con impegno e generosità ogni giorno
prestano il proprio servizio per garantire cure ed assistenza.
Durante l'emergenza non si sono mai tirati indietro, rimanendo
sempre in prima linea spesso senza gli strumenti adeguati, per
la tutela della salute della collettività". E intanto i turni,
secondo quanto denuncia la categoria, sono massacranti con la
programmazione delle ferie che salta.
Il numero degli infermieri on Italia è di 456.069, ma
soltanto 395 mila sono attivi, con una maggioranza assoluta di
donne, che raggiunge il 78%. Secondo il Pnrr sono necessari
circa 50 mila infermieri in più, ma il "Dm 71" (delibera
Consiglio dei Ministri del 21 aprile 2022), che definisce i
modelli e standard per lo sviluppo dell'assistenza territoriale
nel Servizio sanitario nazionale, prevede che si passi
dall'attuale copertura del 4-6% per gli over 65 almeno al 10%.
Percentuali che, secondo Oasi del Cergas Bocconi, si traducono
così in un fabbisogno reale di circa 70 mila unità. Studi
internazionali (come Rn4Cast, pubblicato su The Lancet),
ipotizzano che si riuscisse ad avere un rapporto di un
infermiere ogni sei pazienti e nello staff fosse presente,
almeno il 60% di infermieri laureati, potrebbero essere evitate
3.500 morti l'anno. A ogni aumento del 10% di personale
infermieristico laureato corrisponde una diminuzione del 7% di
mortalità. Per questo è indispensabile anche un intervento sulla
formazione. Le carenze di personale e la necessità di fare
ricorso al lavoro straordinario portano a un elevato tasso di
"fungibilità" della professione, impiegata in tutte le
situazioni in cui l'assistenza scarseggia, senza tenere in alcun
conto il livello di formazione raggiunta dalla maggior parte di
loro, attraverso il conseguimento della laurea triennale o
magistrale.
"Durante la pandemia - ha commentato Barbara Mangiacavalli,
presidente della Fnopi - sono morti 90 infermieri, in questo
numero rientrano anche sei suicidi, dedichiamo a loro, ai nostri
'caduti', la Giornata internazionale dell'infermiere. E'
necessario che, alla luce di quanto è successo durante la
pandemia e per impedire che in futuro situazioni emergenziali
possano coglierci impreparati, il governo intervenga sia sui
numeri, visto che secondo le stime mancano 70 mila unità, sia
sulla formazione e il riconoscimento professionale. È quindi
auspicabile l'avvio di un processo di riforma dei percorsi
accademici, con l'obiettivo di sviluppare e valorizzare le
specificità della professione infermieristica".
Durante il congresso sono state illustrate 72 best practice
per una nuova assistenza sul territorio, tutte replicabili anche
a livello nazionale.
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