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Gestiva clan Lo Russo dal carcere via chat, arresto per il boss

Gestiva clan Lo Russo dal carcere via chat, arresto per il boss

Misure anche per la moglie e il figlio, perquisizioni in corso

NAPOLI, 24 gennaio 2025, 10:28

Redazione ANSA

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- RIPRODUZIONE RISERVATA

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Ha continuato a comandare dal carcere Oscar Pecorelli, 45 anni, ritenuto a capo del clan Lo Russo, detenuto dal 2010 in quanto condannato all'ergastolo per omicidio premeditato.
    A lui, alla moglie, Mariangela Carrozza, 43 anni, e al figlio della coppia, Rosario Pecorelli, da qualche giorno 19enne, sono stati notificati, rispettivamente, due arresti in carcere e uno ai domiciliari per i reati, contestati a vario titolo dalla Procura di Napoli (pm Maria Sepe, procuratore aggiunto Sergio Amato) di associazione armata di stampo mafioso, riciclaggio, autoriciclaggio, trasferimento fraudolento di valori, estorsione e usura aggravate dal metodo mafioso, frode fiscale e accesso indebito a dispositivi idonei alla comunicazione da parte di soggetti detenuti.
    L'ordinanza è stata notificata dal Nucleo di Polizia Economico-Finanziaria della Guardia di Finanza di Napoli e dal Nucleo Investigativo Centrale di Roma della Polizia Penitenziaria, in collaborazione con il Servizio Centrale Investigazione Criminalità Organizzata. Contestualmente, si stanno eseguendo una serie di perquisizioni nelle province di Napoli e Caserta, e in altre località del territorio nazionale.
    Pecorelli per tenersi in contatto con il clan utilizzava in carcere dei cellulari clandestini, messaggi WhatsApp e mail.
    Inoltre, avvalendosi della moglie e del figlio, avrebbe continuato a dirigere attività di riciclaggio e di usura, impartendo direttive ai propri familiari e sodali per riscuotere i proventi di attività estorsive.
    La notevole disponibilità di denaro contante ha spinto la famiglia di Pecorelli a dedicarsi all'usura. E quando c'erano problemi di restituzione, le vittime venivano minacciate e intimidite. I proventi venivano destintari all'acquisto di orologi di lusso (il cui valore è risultato enormemente sproporzionato rispetto ai redditi dichiarati) finanche all'estero, in particolare a Dubai, con pagamenti in criptovaluta.
    La famiglia del boss, per sfuggire ai controlli, aveva intestato a prestanome immobili e imprese di calzature, cuoio, pellame, di lavanderia e di trasporto su gomma. Le società, inoltre, frodavano il fisco utilizzando usando fatture false, secondo le indagini emesse per circa 10 milioni di euro.
    Lo scorso giugno ai Pecorelli sono stati sequestrati 8 immobili, 12 lotti di terreno, 5 complessi aziendali, 2 autovetture, 1 ciclomotore, 20 orologi di lusso, 90 rapporti finanziari e circa 400 mila euro in contanti per un valore complessivo di oltre 8 milioni di euro.
   

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