La Corte Costituzionale, con la
sentenza n. 25, depositata oggi, ha affermato che vìola il
principio di uguaglianza la norma che subordina l'acquisto della
cittadinanza - per matrimonio o naturalizzazione - alla
conoscenza dell'italiano a livello intermedio per qualunque
straniero, senza eccettuare chi versi in condizioni di oggettiva
e documentata impossibilità di acquisirla in ragione di una
disabilità. Lo rende noto un comunicato della Consulta. E'
stata, pertanto, dichiarata l'illegittimità costituzionale
dell'art. 9.1 della legge 5 febbraio 1992, n. 91 «nella parte in
cui non esonera dalla prova della conoscenza della lingua
italiana il richiedente [la cittadinanza] affetto da gravi
limitazioni alla capacità di apprendimento linguistico derivanti
dall'età, da patologie o da disabilità, attestate mediante
certificazione rilasciata dalla struttura sanitaria pubblica».
Secondo la Corte, è violato, anzitutto, il principio di
eguaglianza formale per trattamento uguale - ingiustificato e
irragionevole - di situazioni diverse. Infatti, con
l'imposizione generalizzata del requisito linguistico, il
legislatore non ha tenuto conto della condizione di coloro che,
in ragione di determinate menomazioni, versano in situazione
oggettivamente diversa dalla generalità dei richiedenti la
cittadinanza.
Inoltre, la disciplina uniforme dettata dall'art. 9.1 offende
il principio di eguaglianza nella sua declinazione sostanziale
perché frappone, anzi che rimuovere, un ostacolo all'acquisto
dello status di cittadino per tale specifica categoria di
persone vulnerabili e dà luogo ad una loro discriminazione
indiretta. Infine, la Consulta ha ritenuto che la norma sia
irragionevole perché contraria al principio «ad impossibilia
nemo tenetur»: il requisito della prova della conoscenza della
lingua a livello intermedio si rivela, infatti, una condizione
inesigibile per quegli stranieri che siano oggettivamente
impediti ad apprenderla in ragione di una disabilità.
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