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Alessandro Preziosi, 'Il mio Lear solo un padre, non un re'

Alessandro Preziosi, 'Il mio Lear solo un padre, non un re'

Doc nelle sale d'essai dal 5 maggio, 'vorrei dirigere un film'

ROMA, 03 maggio 2025, 17:17

di Marzia Apice

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- RIPRODUZIONE RISERVATA

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"Il teatro fa solo domande, senza fornire risposte. Ecco, con questo documentario mi sono messo nei panni del pubblico, ho provato a dare degli strumenti per trovare delle risposte. Il mio re Lear è molto umano, non c'è il tema del potere, ma quello della paternità e delle seconde chance che si possono dare ai padri". E' un progetto ambizioso, che punta sulla capacità dei linguaggi artistici di "decodificare" la complessità, il documentario "Aspettando re Lear", firmato da Alessandro Preziosi, ideato con Tommaso Mattei, che dal 5 al 7 maggio sarà al Cinema Farnese di Roma (la prima sera, ore 21, alla presenza di regista e cast), e poi proseguirà la sua avventura nelle sale d'essai delle principali città italiane e in alcuni festival estivi. Il documentario - una produzione Pato film in associazione con Cinecittà, in collaborazione con Rai Cinema, con il sostegno della Direzione Generale Cinema e Audiovisivo e con la collaborazione del teatro Stabile del Veneto -, che riprende l'omonimo spettacolo con cui Preziosi ha debuttato a Verona nel 2023, racconta un evento teatrale dalla prima ideazione alla messa in scena, attraverso un dialogo costruito con il maestro biellese Michelangelo Pistoletto e i suoi quadri specchianti.
    La contaminazione dei linguaggi - il teatro unito all'audiovisivo e all'arte contemporanea -, e l'ambientazione in una Venezia caotica e apocalittica tra le calli di Rialto, le segrete di Palazzo Ducale, le tese dell'Arsenale fino al Labirinto di Borges all'isola di San Giorgio permettono una originale reinterpretazione della tragedia di Shakespeare: qui re Lear è solo un uomo, giunto quasi al capolinea della vita, che riflette sulla sua inadeguatezza e sul senso più profondo dell'essere padri e figli. "Nell'epilogo del testo shakespeariano c'è un tardivo riconoscersi tra padre e figlio che poi muoiono, in questo adattamento invece c'è un incontro e la possibilità di una seconda chance, nonostante le mancanze e l'immaturità dei padri: è un modo di dare al senso dell'attesa una speranza", spiega Preziosi intervistato dall'ANSA. Questo lavoro, che vede al fianco di Preziosi anche Nando Paone, Roberto Manzi, Federica Fresco e Valerio Ameli, riflette sul teatro stesso, lo mostra dal di dentro, e lo trasporta in altri linguaggi, ma è anche un'indagine profonda sulla paternità e sull'eredità che lasciamo a chi verrà dopo di noi. "Dopo la tournée in teatro, mi sono reso conto che servivano strumenti per far capire meglio l'uso che volevo che lo spettatore facesse di quello spettacolo", prosegue l'attore, che prossimamente sarà nella serie internazionale Sandokan (in onda su Rai1) nei panni di Yanez e che ha appena finito di girare Portobello, la serie per la nuova piattaforma Max di Warner-Discovery, firmata da Marco Bellocchio sulla vicenda di Enzo Tortora, "in questo mi ha aiutato molto anche il maestro Pistoletto". Come è avvenuto il vostro incontro? "In modo fortuito, al Chiostro del Bramante, durante una sua mostra - dice - gli ho spiegato il progetto, e lui mi ha detto: 'fai delle mie opere ciò che vuoi'". Oltre ai lavori di Pistoletto - che costringono il protagonista a guardarsi dentro, senza poter sfuggire alle proprie responsabilità - centrale nel documentario sono le scelte di regia, con piani sequenza, soggettive, ellissi temporali.
    "Volevo che l'attore guardasse negli occhi lo spettatore, l'oggetto osservato e l'osservatore entrano in relazione sempre - spiega - le riprese sono fatte sul palco in soggettiva o dalle quinte". Ha corso il rischio di realizzare un lavoro troppo colto e criptico, o al contrario, troppo didascalico: come ha trovato l'equilibrio? "'Attraverso il tuo documentario le mie opere diventano popolari' mi ha detto Pistoletto, volendo significare che l'arte rende liberi ed è di tutti. Ecco, io voglio rispondere usando le sue parole. Nell'arte tutto può diventare qualcos'altro: un tavolo resta un tavolo ed è funzionale al racconto ma può rendere più umana un'opera", afferma, "il documentario è stato il risultato del rischio che stavo correndo con lo spettacolo, ho fatto una sorta di perifrasi, avevo desiderio di riscrivere e mettermi nei panni del pubblico. Credo di aver raggiunto il mio obiettivo: all'anteprima alla Festa del Cinema di Roma hanno triplicato le proiezioni in sala, perché c'era stato il passaparola del pubblico".
    Dopo "La legge del Terremoto", questo è il suo secondo documentario: si sta preparando per fare un film? "In realtà sì, in modo cauto e responsabile di avvicinarmi a una storia da portare al cinema, ci sto lavorando con la maturità dei film visti e dei documentari fatti", rivela l'attore pronto a tornare sul piccolo schermo con due serie, Sandokan, al fianco di Can Yaman, e Portobello di Bellocchio, con Fabrizio Gifuni. "E' stato divertente lavorare in Sandokan, una grande produzione internazionale, recitavo in inglese con cadenza portoghese", dice, "di Portobello posso dire poco: il cast era incredibile, ora abbiamo appena finito di girare, ma quando collabori con un maestro come Bellocchio è qualcosa di unico".
   

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