Storie antiche ma dal sapore ancora attuale, dure e affilate, strazianti ma con un filo di speranza ancora attaccato: è questo il racconto che Maddalena Capalbi presenta nella raccolta di poesie "Testa rasata", edita da Moretti & Vitali, in cui le donne e le loro ferite diventano protagoniste attraverso la parola.
Mescolando epoche e suggestioni, l'autrice riprende un tema scomodo e tragico, quello della violenza, fisica o psicologica, perpetrata dagli uomini a danno del mondo femminile: una questione che, purtroppo, non ha mai smesso di essere urgente in ogni latitudine del mondo.
Breve ma emblematica, violenta e dolce, emotiva e ragionata: ognuna delle trentacinque poesie scorre fluida nella narrazione di un corpo e del suo essere maltrattato, usato e disprezzato. E mentre il racconto procede, delineando nella mente di chi legge anche i dettagli seppur sfocati di un'immagine corrispondente, tutte le donne messe al centro delle poesie diventano un esempio vivo, capace di travalicare le epoche. Per permettere al lettore di orientarsi nei corsi e ricorsi storici, o nelle pieghe delle leggende tramandate dal passato, le ultime pagine sono dedicate alle biografie di queste donne sofferenti e volitive. Non importa se povera o ricca, se schiava, signora o prostituta, ognuna di queste protagoniste - molte hanno subito il martirio e poi sono state santificate dalla Chiesa - si mostra nella disperazione, a volte muta a volte urlante, della propria debolezza, un'impotenza inflitta dal maschio che non può fare a meno di mortificare nascondendosi dietro un amore malato o una assurda vendetta. Le chiama tutte per nome, perché ogni nome ha la dignità di una storia. Tra questi nomi c'è anche il suo, Maddalena, in cui il ricordo del personaggio biblico viene fatto riemergere ma subito superato grazie a una libertà finalmente raggiunta. Ecco allora che, cercando nel dolore delle parole, Capalbi fa emergere anche la possibilità di avere ancora fiducia, grazie a un "femminile" che ha sempre dimostrato la forza di non lasciarsi annientare, anche nella sconfitta, e di riuscire a riaffermare se stesso, come in un ciclo senza fine.
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