"Andarci con rispetto. Andarci senza
lasciare traccia del proprio passaggio. Ma andarci". Parola di
chi ci è andato ed è restato: Paolo Cognetti, scrittore Premio
Strega 2017 con "Le otto montagne", ma soprattutto un uomo che
ha scelto per casa un angolo sotto il Monte Rosa, a Estoul. E'
sua la firma sulla "Domenica Con" di Rai Storia, lo spazio
curato da Enrico Salvatori e Giovanni Paolo Fontana, in onda
domenica 12 dicembre dalle 14 alle 24, dopo la Giornata
Internazionale della Montagna.
Tra i programmi scelti e commentati da Cognetti c'è la
montagna più amata da lui, al di là dell''epica': quella degli
scrittori, da Buzzati a Rigoni Stern, da Primo Levi ad Antonia
Pozzi, ma anche, in prima serata, quella tragicamente
"sfruttata" del Vajont nel celebre monologo di teatro civile di
Marco Paolini, del 1997. Una tragedia che - per Cognetti - fece
capire che la gente di montagna meritava rispetto: "Oltre le
'imprese' alpinistiche e sportive, c'è una montagna vissuta,
abitata. La montagna degli uomini. E forse, mai come in questa
occasione ci si rese conto che esistevano i montanari, che
esiste un'Italia - ed esiste tuttora- che ci vive, ci soffre, ci
lavora. Ecco, il Vajont fu l'occasione per ricordarsene".
Autenticità, senza fiabe romantiche, come quella portata
sullo schermo nel 1970 da Ermanno Olmi, Mario Rigoni Stern e
Tullio Kezich in "I recuperanti", una chicca del suo palinsesto,
alle 17.50: "E' ambientato - dice Cognetti - negli anni
successivi alla guerra: il recuperante era colui che in anni di
crisi nera andava in montagna a disseppellire residuati bellici,
il più delle volte bombe inesplose - un mestiere pericolosissimo
- per disinnescarle e poi rivendere i metalli o comunque il
materiale che riusciva a recuperare". Non manca la montagna che
si intreccia con le scelte diverse di Buzzati e Rigoni Stern:
"Il primo fu uno di quei montanari che se ne andarono in anni in
cui questo sembrava il moto quasi naturale: partire per andare a
lavorare nella grande città, ma il legame restò forte. Basti
pensare al suo celebre dipinto del Duomo di Milano come se fosse
una guglia dolomitica. Il secondo, invece, fu un 'resistente' e
si oppose a quel movimento epocale. Poteva andare a lavorare
anche lui a Milano nel campo dell'editoria o del giornalismo.
Decise di restare sull'altipiano e questo fu il suo atto di
coraggio e di resistenza".
Per Cognetti, però, c'è anche lo sguardo al femminile sui
monti: quello dei 14 ottomila "più uno" (la lotta contro la
malattia che nel 2009 colpì suo marito Romano Benet)
dell'alpinista Nives Meroi e quello di Antonia Pozzi, poetessa
fragile, simbolo di un mondo in cui la montagna era formativa:
"Era nata nel 1912 a Milano e come per tanti ragazzi della buona
borghesia, la montagna faceva parte dell'educazione: spesso
venivano iscritti al Club Alpino Italiano e poi spediti in
montagna a farsi le ossa, perché gli desse un po' della forza
che sarebbe servita nella vita. Le sue poesie sarebbero state
scoperte solo dopo il suicidio, a 26 anni, e le più belle sono
dedicate alla montagna". E, infine, un consiglio per
"sopravvivere" lontano dalle vette: "Quando non ci siamo -
conclude - basta andare in libreria a scoprirle attraverso gli
scrittori. Una libreria è come un rifugio alpino nel caos della
città".
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