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Mario Pacifici: 'narrazione menzognera, così non è memoria'

Mario Pacifici: 'narrazione menzognera, così non è memoria'

L'autore de La porta aperta: 'malessere nell'ebraismo italiano'

ROMA, 23 gennaio 2025, 14:55

Redazione ANSA

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(di Marzia Apice) "Non dico che il Giorno della Memoria non abbia significato, ma c'è malessere nell'ebraismo italiano.
    Il problema è affrontare la memoria insieme a chi continua a imbastire una narrazione malevola e menzognera e si ricorda il 27 gennaio che gli ebrei meritano una mezza giornata di rispetto. A noi questo non interessa": a pochi giorni dalle celebrazioni del Giorno della Memoria, non nasconde l'amarezza Mario Pacifici, autore del libro per bambini "La porta aperta", albo illustrato con i disegni di Lorenzo Terranera, edito da Gallucci. "La comprensione per la tragedia della Shoah non può coprire l'indifferenza per la sofferenza di chi giorno dopo giorno deve combattere per sopravvivere contro un terrorismo implacabile", afferma all'ANSA l'autore, che ha scritto questo libro per raccontare la vicenda accaduta a sua madre e sua zia, le gemelle Marina e Mirella Limentani, scampate alla deportazione il 16 ottobre 1943, giorno del rastrellamento del Ghetto di Roma, grazie all'aiuto inaspettato di un militante fascista, Ferdinando Natoni: l'uomo, che per questo gesto di coraggio e umanità fu insignito nel 1994 del titolo di Giusto tra le Nazioni, permise infatti alle due sorelle di entrare in casa, facendole passare per sue figlie, senza curarsi di mettere a repentaglio la propria vita e quella della sua famiglia.
    A 80 anni dall'abbattimento dei cancelli del lager di Auschwitz, nel clima di tensione di questi mesi, tra l'orrore della guerra a Gaza, le migliaia di morti e i rigurgiti di antisemitismo, preservare la memoria sembra più difficile, quasi come se il ricordo della ferocia nazista apparisse "offuscato" e le celebrazioni ridotte a mero rituale. "C'è troppa disinformazione. Quella di Gaza è una tragedia senza misure, con decine di migliaia di morti. Ma i media che danno credito alla narrativa di Hamas forniscono al pubblico una conoscenza alterata di ciò che accade", dice Pacifici, "Hamas, Hezbollah, Houthi non vogliono terra in cambio di pace, ma solo cancellare Israele dalla cartina geografica. Lo dicono loro e lo dice l'Iran". Dal suo punto di vista, come si può superare questo clima di odio? "Mi piacerebbe avere una ricetta per cambiare le cose: la situazione si cambia se la verità emerge sulla menzogna. Sentire dire, anche dai vertici della Chiesa, che Israele potrebbe essere colpevole di genocidio per noi è un trauma. Ma le parole sono pietre, come diceva Carlo Levi, e fanno danni perché possono muovere i sentimenti nella direzione sbagliata". La vicenda accaduta a sua madre e sua zia ha accompagnato Pacifici per tutta la vita, poi, è nata l'esigenza di consegnare questa storia agli altri, pensando a un libro destinato ai più giovani. "Ho pensato a lungo se raccontare questa storia, perché la vicenda di mia madre si è intrecciata con la tragedia di centinaia di famiglie trascinate fuori dalle loro case per essere inviate alla morte nei campi nazisti. Non era una storia a lieto fine", afferma l'autore. "Non so quante volte mia madre mi ha raccontato ciò che accadde quel giorno, tanto che i suoi ricordi sono diventati i miei. E' come se avessi sentito io il battere degli stivali dei tedeschi che salgono le scale del palazzo, e provato io quella disperazione", racconta, "a scriverne mi ha convinto l'editore Gallucci, chiedendo di rivolgermi ai ragazzi. La sfida è stata raccontare ai più giovani che il male non è senza soluzione, e che ognuno può trovare dentro di sé il modo di contrastarlo: come i Giusti, che scelgono il bene senza lasciarsi coinvolgere da malvagità e ideologie". "La porta aperta", che l'autore e l'editore sono pronti a presentare nelle scuole, ha senza dubbio il merito di riuscire a comunicare un messaggio forte con un linguaggio semplice, fluido e accurato, anche grazie all'impostazione della storia raccontata come una "fiaba" da una nonna ai suoi nipotini. "Anni fa presentai a Gerusalemme il libro Una cosa da niente, una serie di racconti sulle leggi razziali", conclude Pacifici, "in quell'occasione la psicoterapeuta Dina Wardi mi disse che, in quanto figlio di una sopravvissuta, io ero una candela della memoria, e mi pregò di non smettere di raccontare.
    Secondo lei, quando non ci saranno più testimoni, la loro funzione sarà assunta dalla letteratura e da chi ha vissuto l'orrore non direttamente, ma attraverso le testimonianze dei propri cari. Io quella definizione non l'ho più dimenticata. E quando racconto della Shoah sento davvero di essere una candela della memoria".
   

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