L'ultimo, breve e malinconico romanzo di Mario Vargas Llosa uscirà in autunno nei Supercoralli Einaudi nella traduzione di Federica Niola. È I Venti, un racconto sulla solitudine e sul mondo che verrà con protagonista un uomo ormai vecchio, perso tra le strade di una Madrid surreale, che vaga disperatamente alla ricerca della sua casa, mentre i "venti inopportuni" prodotti dal suo corpo non gli danno tregua. Tra le strade che lo intrappolano in un torpore invincibile, tra confusione onirica e vera disperazione, l'anziano rivanga i ricordi di un mondo e di una vita scomparsi, sperando che in qualche modo il suo indirizzo riemerga, e nel frattempo riflette sulla sua città quasi priva di musei, librerie e cinema, dove i luoghi di cultura e di incontro sono ormai virtuali.
Il Premio Nobel 2010 per la Letteratura, morto il 14 aprile, esplora in cento pagine il senso di alienazione di chi vive in un'epoca che non riconosce più, il conflitto tra passato e presente, tra progresso e tradizione. Qui i venti sono il simbolo della decadenza fisica, ma anche delle idee, vecchie, superate, da buttar via secondo la percezione di chi viene dopo. Eppure, anche se il passato viene demonizzato e ignorato, è uno dei pochi strumenti che consente di valutare il presente e allo stesso tempo di cambiare il futuro. Un "inguaribile conservatore", è così che l'amico Osorio definisce il narratore di questo romanzo. E da buon nostalgico, il narratore non poteva mancare alla manifestazione per la chiusura del cinema Ideal, una delle ultime sale ancora attiva in città. Insieme a pochi altri "relitti" come lui, ha provato a convincere un ipotetico potere dell'importanza del cinema, ma di fatto la manifestazione si è svolta nell'indifferenza generale. Del resto nessuno, men che meno i giovani che una volta facevano la rivoluzione, si preoccupa che scompaia quel luogo obsoleto, così come i musei, i teatri, le librerie. Ormai basta avere uno schermo per godere di ogni singola esperienza del mondo. Persino l'opera è un contenuto multimediale commentato. E i dipinti esposti al Prado sono orfani degli occhi che tante estati prima facevano file infinite pur di ammirarli: le immagini digitali sono di gran lunga migliori, più dettagliate e democraticamente fruibili. L'arte è diventata incomprensibile - sculture per l'olfatto, pittura immateriale, ologrammi prodigiosi - e i nuovi artisti sono ingegneri, programmatori, professionisti della rete. Per fortuna che ci sono i cartoni animati, e il circo, è proprio vero che da anziani si torna bambini. Sono queste e tante altre le riflessioni, insieme ai ricordi sempre più sbiaditi degli amori passati, a cui si lascia andare il narratore, mentre, dopo la manifestazione, vaga alla ricerca di casa sua. Non gli è mai successo, ma quel giorno proprio non riesce a ricordare il suo indirizzo: attraversa strade che gli sembrano familiari e insieme sconosciute, in ogni piazza si ferma su una panchina per riposarsi un po', e puntualmente si addormenta, tra le terribili flatulenze che da qualche tempo lo affliggono. Si sta facendo tardi e il narratore è ansioso di ritrovare la sua casa - in verità una minuscola stanza con bagno al quinto piano senza ascensore, questo l'ha tenuto a mente. Passerà una notte all'addiaccio e ne è terrorizzato, allora piuttosto si rivolgerà alla polizia e aspetterà in cella che lo identifichino, o la mattina seguente Osorio, non riuscendo a raggiungerlo telefonicamente per il consueto controllo reciproco di esistenza in vita, allerterà le forze dell'ordine. Poi all'improvviso, ritorna tutto, il percorso, la strada, il numero civico. Finalmente. Tutti quei venti, poi, l'hanno messo a dura prova, e teme di non essersi trattenuto a sufficienza per evitare il peggio. Ma ora è salvo, salirà, si farà la doccia, andrà a dormire: o forse quel ritorno a casa decreterà il suo destino?
Einaudi ha in corso di pubblicazione l'intera opera di Vargas Llosa.
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