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'Erodiade', l'addio alle scene di Francesca Benedetti

'Erodiade', l'addio alle scene di Francesca Benedetti

In vista dei 90 anni due serate nel nome di Testori

ROMA, 26 marzo 2025, 17:38

Redazione ANSA

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(di Paolo Petroni) Quei suoi capelli rossi sono il segno che Francesca Benedetti porta in scena, come a ricordare quel tanto di questa 'Erodiade' di Giovanni Testori che appartiene al personaggio ma anche a se stessa, quella vitalità forte, anche amorosamente violenta, quella passione, dolore e seduzione che ne hanno fatto quella donna e quella attrice con una precisa, bella carriera mai banale, che con quest'ultima interpretazione ha deciso di chiudere in vista dei 90 anni il 18 novembre.
    I testi di Testori, del resto, sono stati un po' l'incontro della sua vita, la sfida che, come ha detto, la portarono a toccare il cielo, più che a sentirsi al vertice della sua vicenda artistica, avendo poi provato sempre ad andare anche oltre. La Trilogia degli Scarrozzanti debuttò nel 1973 con con 'Ambleto', poi 'Macbetto', scritto proprio per la Benedetti, e 'Edipus', che crearono un nuovo linguaggio teatrale con uno sguardo diverso, sorprendente e potente nel rivisitare i classici. Lo stesso vale per questa 'Erodiade', messa in scena con la regia di Marco Carniti (con cui l'attrice ha spesso lavorato in questi ultimi anni) all'insegna della finzione e della verità, dell'eros e della morte, della carne e dello spirito, del sangue e del verbo, la parola, che è quella del monologo, del suo dialogo con la testa di Giovanni Battista, e anche quella del Signore cui questi era votato. In una scena tinta di rosso, spezzata ogni tanto da colori acidi con sullo sfondo proiezioni firmate da Francesco Scandale delle teste del Battista, disegnate dallo stesso Testori con le bocche spalancate nell'ultimo grido e la carne sfilacciata al collo tagliato, seduta su una poltrona rossa Benedetti è vestita di rosso, come il sangue, che è vita e morte, avesse invaso tutto e il viso è cereo, truccato quasi come una maschera tragica greca. Parla di fetore e di seduzione della carne, sottolinea che non è una recita, ma un confronto faccia a faccia, per poi parlare di finzione e teatro ("quel povero teatro che solo distruggendosi potrà ritrovare senso e ragione") con lo sguardo ora sfrontato e poi ripiegata quasi su se stessa, con silenzi che segnano l'arrivo di una riflessione più intima e personale, la voce capace di sussurrare e poi avere il vigore della rivelazione e dello scandalo ("mi piacevi"), dell'eros che tutto pervade, in una continua ricerca espressiva vocale, tra cesure e parole trascinate, come un no dalle modulazioni musicali che è come prendesse alla gola lo spettatore per trascinarlo all'interno del sentire del personaggio.
    Alla fine, interrompendo gli applausi infiniti con tutto il teatro in piedi, confessa di avere la febbre alta, ma sottolinea che ha voluto tenere fede al proprio impegno al Teatro Vascello, due serate di saluto a colleghi, amici, pubblico. Una febbre che ha alzato la temperatura, il colore anche dell'interpretazione oltre a averla arricchita di qualche raucedine tutt'altro che fuori luogo: the show must go on! Grande attrice sino all'ultimo, arrivata tenendosi al braccio del regista, ma poi, all'alzarsi del sipario, è come avesse una scossa che cancella ogni malore e debolezza: si recita. La carriera di Francesca Benedetti, di famiglia borghese e provinciale, nata a Urbino nel 1935, inizia dopo l'iscrizione a Medicina e la presa di coscienza che la sua personalità, il suo temperamento di altro, che qualche dissezione, hanno bisogno.
    Così scopre il teatro, si iscrive all'Accademia D'Arte Drammatica D'Amico, dove ha come compagni tra i tanti Volonté e Missiroli. Appena diplomata, quasi a volersi sperimentare a tutto tondo, prende parte, passerella inclusa, a una rivista di Dapporto, 'Il diplomatico', ma anche con la regia di Orazio Costa alla tragedia 'Ifigenia in Tauride' con Alberto Lupo e Lilla Brignone. Sarà a Napoli con Enriquez, a Firenze con Beppe Menegatti e via via altre compagnie sino a quando, con la direzione di Antonio Calenda, è tra i fondatori nel 1965 del Teatro Centouno con Proietti, Gazzolo e Piera Degli Esposti per molte stagioni romane. Con lo stesso Gazzolo e altri fonda nel 1968 a Modena la Comunità Teatrale Emilia Romagna.
    Infiniti sarebbero da elencare gli spettacoli cui ha portato la sua nota personale, quindi ricordiamo quelli che lei stessa definisce momenti fondamentali: 'Il temporale' di Strindberg nel 1980 diretta da Giorgio Strehler e l'avventura nuova delle 'Orestiadi' allestite tra i ruderi della Gibellina terremotata per iniziativa del sindaco Ludovico Corrao nel siciliano poetico ideato da Emilio Isgrò per questa rivisitazione di Eschilo, che, col finale delle 'Eumenidi' porta un incisivo messaggio di rinascita culturale per tutti i popoli minacciati dai sismi della storia. Ora dice: "La verità è che sono stanca" e quindi "sono pronta a lasciare le scene". Un addio che avrà l'ultimo appuntamento a maggio, quando al Festival di Borgio Verezzi le daranno un premio alla carriera.
   

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