(di Paolo Petroni)
Quei suoi capelli rossi sono il segno
che Francesca Benedetti porta in scena, come a ricordare quel
tanto di questa 'Erodiade' di Giovanni Testori che appartiene al
personaggio ma anche a se stessa, quella vitalità forte, anche
amorosamente violenta, quella passione, dolore e seduzione che
ne hanno fatto quella donna e quella attrice con una precisa,
bella carriera mai banale, che con quest'ultima interpretazione
ha deciso di chiudere in vista dei 90 anni il 18 novembre.
I testi di Testori, del resto, sono stati un po' l'incontro
della sua vita, la sfida che, come ha detto, la portarono a
toccare il cielo, più che a sentirsi al vertice della sua
vicenda artistica, avendo poi provato sempre ad andare anche
oltre. La Trilogia degli Scarrozzanti debuttò nel 1973 con con
'Ambleto', poi 'Macbetto', scritto proprio per la Benedetti, e
'Edipus', che crearono un nuovo linguaggio teatrale con uno
sguardo diverso, sorprendente e potente nel rivisitare i
classici. Lo stesso vale per questa 'Erodiade', messa in scena
con la regia di Marco Carniti (con cui l'attrice ha spesso
lavorato in questi ultimi anni) all'insegna della finzione e
della verità, dell'eros e della morte, della carne e dello
spirito, del sangue e del verbo, la parola, che è quella del
monologo, del suo dialogo con la testa di Giovanni Battista, e
anche quella del Signore cui questi era votato.
In una scena tinta di rosso, spezzata ogni tanto da colori
acidi con sullo sfondo proiezioni firmate da Francesco Scandale
delle teste del Battista, disegnate dallo stesso Testori con le
bocche spalancate nell'ultimo grido e la carne sfilacciata al
collo tagliato, seduta su una poltrona rossa Benedetti è vestita
di rosso, come il sangue, che è vita e morte, avesse invaso
tutto e il viso è cereo, truccato quasi come una maschera
tragica greca. Parla di fetore e di seduzione della carne,
sottolinea che non è una recita, ma un confronto faccia a
faccia, per poi parlare di finzione e teatro ("quel povero
teatro che solo distruggendosi potrà ritrovare senso e ragione")
con lo sguardo ora sfrontato e poi ripiegata quasi su se stessa,
con silenzi che segnano l'arrivo di una riflessione più intima e
personale, la voce capace di sussurrare e poi avere il vigore
della rivelazione e dello scandalo ("mi piacevi"), dell'eros che
tutto pervade, in una continua ricerca espressiva vocale, tra
cesure e parole trascinate, come un no dalle modulazioni
musicali che è come prendesse alla gola lo spettatore per
trascinarlo all'interno del sentire del personaggio.
Alla fine, interrompendo gli applausi infiniti con tutto il
teatro in piedi, confessa di avere la febbre alta, ma sottolinea
che ha voluto tenere fede al proprio impegno al Teatro Vascello,
due serate di saluto a colleghi, amici, pubblico. Una febbre che
ha alzato la temperatura, il colore anche dell'interpretazione
oltre a averla arricchita di qualche raucedine tutt'altro che
fuori luogo: the show must go on! Grande attrice sino
all'ultimo, arrivata tenendosi al braccio del regista, ma poi,
all'alzarsi del sipario, è come avesse una scossa che cancella
ogni malore e debolezza: si recita.
La carriera di Francesca Benedetti, di famiglia borghese e
provinciale, nata a Urbino nel 1935, inizia dopo l'iscrizione a
Medicina e la presa di coscienza che la sua personalità, il suo
temperamento di altro, che qualche dissezione, hanno bisogno.
Così scopre il teatro, si iscrive all'Accademia D'Arte
Drammatica D'Amico, dove ha come compagni tra i tanti Volonté e
Missiroli. Appena diplomata, quasi a volersi sperimentare a
tutto tondo, prende parte, passerella inclusa, a una rivista di
Dapporto, 'Il diplomatico', ma anche con la regia di Orazio
Costa alla tragedia 'Ifigenia in Tauride' con Alberto Lupo e
Lilla Brignone. Sarà a Napoli con Enriquez, a Firenze con Beppe
Menegatti e via via altre compagnie sino a quando, con la
direzione di Antonio Calenda, è tra i fondatori nel 1965 del
Teatro Centouno con Proietti, Gazzolo e Piera Degli Esposti per
molte stagioni romane. Con lo stesso Gazzolo e altri fonda nel
1968 a Modena la Comunità Teatrale Emilia Romagna.
Infiniti sarebbero da elencare gli spettacoli cui ha portato
la sua nota personale, quindi ricordiamo quelli che lei stessa
definisce momenti fondamentali: 'Il temporale' di Strindberg nel
1980 diretta da Giorgio Strehler e l'avventura nuova delle
'Orestiadi' allestite tra i ruderi della Gibellina terremotata
per iniziativa del sindaco Ludovico Corrao nel siciliano poetico
ideato da Emilio Isgrò per questa rivisitazione di Eschilo, che,
col finale delle 'Eumenidi' porta un incisivo messaggio di
rinascita culturale per tutti i popoli minacciati dai sismi
della storia.
Ora dice: "La verità è che sono stanca" e quindi "sono pronta
a lasciare le scene". Un addio che avrà l'ultimo appuntamento a
maggio, quando al Festival di Borgio Verezzi le daranno un
premio alla carriera.
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