ALFIO CARUSO, "COSI' RICOSTRUIMMO L'ITALIA. 1945-1959 (NERI POZZA, PP. 335, 18 EURO).
I vizi dell'Italia di oggi c'erano anche nel non troppo remoto ieri, ma a quel tempo si mescolavano con le virtù. Il Paese uscito a pezzi dal secondo conflitto mondiale sorprese anche i poco espansivi inglesi, che il 25 maggio 1959, sul Daily Mail, convennero che dalle nostre parti si era verificato "un autentico miracolo economico". E qualche mese dopo il Financial Times assegnò alla lira l'Oscar delle valute. In quell'anno il nostro Pil fece un balzo del 6,6%. Nell'analizzare i tre lustri che vanno dal 1945 al 1959, lo storico Alfio Caruso, nel suo "Così ricostruimmo l'Italia", pubblicato per Neri Pozza, tira una riga sulla cronologia degli eventi e si ferma alla vigilia di quei Sessanta, quando comincia un percorso che i nostri tempi fanno meno fatica a riconoscere.
Tra storia e costume, l'Italia di Peppone e Don Camillo si diede l'obiettivo - non si sa con quanta consapevolezza - di lasciarsi alle spalle gli orrori del Ventennio. Accadeva che il presidente di Confindustria Angelo Costa incontrasse il segretario della Cgil Giuseppe Di Vittorio e per risolvere una vertenza o firmare un rinnovo contrattuale si davano appuntamento alla stazione di Bologna, salivano su un vagone letto e parlavano tutta la notte. "All'arrivo a Roma la trattativa era conclusa", scrive Caruso. Ma quella stessa Italia del fare è anche un Paese che lascia fare e chiude un occhio: "Dal 1944, primo governo Bonomi, al 1963, strage di Ciaculli, le cosche godranno della totale disattenzione dello Stato" e anche dell'elogio di un consigliere di Cassazione, Giuseppe Guido Lo Schiavo, che nel suo libro "Piccola pretura" tesse le lodi dell'"onorata società". E' l'Italia delle trame, della colossale messa in scena operata dai carabinieri nell'uccisione del bandito Salvatore Giuliano. Un Paese che nutre fastidio per la verità, e anche quando si tratta di appuntarsi una medaglia al petto, come la conquista del K2, non trova di meglio che diffamare uno dei protagonisti dell'impresa, Walter Bonatti, che solo cinquant'anni dopo avrà giustizia grazie all'inchiesta di un medico appassionato di montagna, Robert Marshall, un australiano.
Se la verità è un sentimento trascurabile, la giustizia che va in scena nel paese del melodramma fa dire al procuratore militare che "con infinita, profonda e commossa tristezza" deve chiedere 24 anni di carcere per il generale Rodolfo Graziani (in Italia con il suo grado se ne contano 198 su 175 mila effettivi, uno ogni 98 soldati). Al comandante dell'esercito della Repubblica di Salò saranno inflitti 19 anni e, tra amnistie e indulti, qualche mese dopo sarà messo in libertà. Ci vorranno cinque anni, invece, per scagionare Piero Piccioni, figlio del ministro democristiano Attilio, coinvolto nel caso di Wilma Montesi, la ventenne trovata morta sulla spiaggia di Torvaianica. Una vicenda che riempì i rotocalchi. Nel frattempo il generale Giovanni De Lorenzo, direttore del Sifar, firmava con la Cia l'intesa per costruire Gladio, la rete militare segreta che aveva il compito di respingere un'eventuale invasione sovietica.
Ma l'Italia cresceva, più a Nord che a Sud, a dire il vero, nonostante i mille miliardi spesi dalla Cassa per il Mezzogiorno nei primi dieci anni, dal '51 al '60. E non era solo una questione di reddito: "Il lutto - spiega Caruso - obbliga al nero e il Meridione veste quasi perennemente di scuro: dopo un anno di osservanza si possono tirare fuori dall'armadio gl'indumenti colorati, ma ricordandosi di applicare un bottone nero a imperitura memoria. In Settentrione il cosiddetto 'lutto stretto' dura solo un mese, in seguito basterà ricordarsi di andare al cimitero il 2 novembre". Anche il lutto ha due velocità.
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