Finiti i tempi degli utili 'facili' grazie ai tassi alti, insidiato dal digitale e le fintech, il comparto bancario e finanziario in Italia è in piena fase di risiko e, ancora una volta, l'obiettivo finale sono le Generali di Trieste.
E se l'ops di Mps su Mediobanca infatti cita esplicitamente il 'flusso di cassa' di Generali come uno dei fattori positivi dell'operazione (che porta 300 milioni l'anno circa a Piazzetta Cuccia), è indubbio che il Leone di Trieste ha un valore che va al di là del mero conto economico.
Lo sa bene il governo (tramite il Mef primo azionista) che Mps l'ha salvata e rifinanziata con un'ultima iniezione di 2,5 miliardi di euro a fine 2022. Risorse senza le quali ora il Monte, pur risanato, non avrebbe potuto tentare questa mossa. E per il governo, il 'convitato di pietra' che a Siena ha ancora l'11,7%, Generali non può essere indifferente. Il gruppo è infatti un player di stazza europea con una quota notevole di titoli di Stato che vengono puntualmente citati ogni volta dalla politica e da alcuni suoi soci in primis Caltagirone e Delfin come elemento da salvaguardare e che rimane un tema caro anche al governo.
Netto è stato infatti l'attacco di questi due grandi azionisti all'operazione annunciata giorni fa dal management del Leone con i francesi di Natixis sul risparmio gestito. Attacco incentrato anche sui timori, respinti dai diretti interessati, che il risparmio nazionale e la scelta di investire o meno in Btp vada in mani straniere. Un capitolo ulteriore dello scontro fra il management e i soci che non erano riusciti due anni fa a imporsi rispetto alla lista del cda uscente, situazione definita "paradossale" dall'imprenditore romano. Ma va ricordato che ogni volta che Generali sembrava sul punto di perdere il contatto con il nostro paese (con voci su Allianz o i francesi) si sono formate 'cordate tricolori'. Un altro che provò a scardinare, ma senza operazioni 'corsare', gli assetti del Leone fu Intesa Sanpaolo nel 2017, operazione che però non andò in porto. Ora il gruppo di Carlo Messina, che deve eleggere i vertici ad aprile, è difficile che abbia l'intenzione o la possibilità di opporsi a questa mossa. Vi è poi il management di Mediobanca la cui ampia libertà si è scontrata negli anni con gli stessi propri azionisti.
Per difendersi dall'offerta 'ostile' di Mps il management di Mediobanca dovrà ora fare i conti con due ostacoli: la passivity rule, che impone all'ad Alberto Nagel e soci di portare in assemblea qualsiasi operazione straordinaria, e la presenza nel capitale di Piazzetta Cuccia di Delfin e del gruppo Caltagirone, che dispongono insieme del 25% del capitale della banca guidata da Alberto Nagel e i cui rappresentanti nel cda di Mps hanno approvato l'operazione non concordata lanciata dal Monte. In passato Piazzetta Cuccia aveva ipotizzato la cessione del 13% delle Generali per finanziare una grande acquisizione trasformativa nel wealth management. L'ad di Mediobanca, che ha dimostrato più volte di difendere senza sconti Piazzetta Cuccia, quindi come arma ha più che altro le dimensioni finanziarie dell'avversario. L'opas offre un prezzo che il mercato sta per ora giudicando troppo esiguo e che potrebbe condizionare quindi gli azionisti nella scelta di aderire. Per rilanciare e magari offrire una quota cash Siena dovrebbe quindi aumentare l'importo dell' aumento di capitale da chiedere ai soci, mossa rischiosa.
Il fermento del settore bancario è forte. C'è l'opas di Banca Ifis sul illimity creata da Corrado Passera e soprattutto c'è l'attivismo di Unicredit, da una parte con l'acquisto di quote di Commerzbank dall'altra con l'Opas su Banco Bpm. Per loro l'assalto del Monte, spiegano diversi osservatori, è un elemento che può giovare all'operazione sull'istituto guidato da Giuseppe Castagna che proprio a Siena doveva andare in sposa con l'assenso del governo e l'auspicio esplicito della Lega. Accasata Mps in altra maniera verrebbe meno anche quel sostegno politico a Banco Bpm, spianando ad Andrea Orcel la strada.
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