(di Luca Mirone)
A quasi due settimane dall'arresto,
il governo iraniano rompe il silenzio sul caso di Cecilia Sala,
ma senza formalizzare accuse precise. La giornalista italiana è
stata fermata a Teheran lo scorso 19 dicembre perché "ha violato
la legge della Repubblica islamica", è lo scarno comunicato
diffuso dal Ministero della Cultura, in cui si conferma
l'arresto e si dà solo conto dell'apertura di un'inchiesta. Una
formula vaga, che sembra confermare le ipotesi emerse sin
dall'inizio della vicenda sulle reali intenzioni del regime,
ossia utilizzare la giovane reporter come pedina di scambio. Lo
stesso viceministro degli esteri iraniano, del resto, lo ha
fatto intendere tra le righe all'ambasciatrice italiana.
Menzionando, durante il colloquio, anche il caso dell'ingegnere
esperto di droni arrestato in Italia, su cui pende una richiesta
di estradizione degli Stati Uniti. Proprio Washington, non a
caso, è oltre a Teheran l'interlocutore di Roma in questa
trattativa, che per ammissione del governo è delicata e
complessa. Anche se, hanno assicurato fonti dell'esecutivo, si
continuerà a lavorare "senza sosta, incluso l'ultimo giorno
dell'anno ed il primo giorno del 2025", in uno sforzo "di
diplomazia e intelligence", per riportare Cecilia a casa il
prima possibile.
La prima comunicazione ufficiale delle autorità iraniane su
Cecilia Sala è arrivata tramite l'agenzia ufficiale Irna. "La
cittadina italiana è arrivata in Iran il 13 dicembre con un
visto giornalistico ed è stata arrestata il 19 per aver violato
la legge della Repubblica islamica dell'Iran", ha riferito una
nota del ministero della Cultura e dell'orientamento islamico.
Specificando che è stata aperta una "inchiesta, l'arresto è
stato eseguito secondo la normativa vigente e l'ambasciata
italiana è stata informata". Inoltre, "le è stato garantito
l'accesso consolare ed il contatto telefonico con la famiglia".
La nota ha concluso che "saranno forniti ulteriori dettagli se
la magistratura lo riterrà necessario".
Nessuna accusa specifica, quindi. Un arresto quasi casuale,
apparentemente preventivo, aveva del resto fatto capire domenica
il viceministro Vahid Jalalzadeh ricevendo l'ambasciatrice
italiana Paola Amadei. L'alto funzionario, secondo la
ricostruzione del Corriere della Sera, ha spiegato che la palla
è in mano alla magistratura iraniana, mentre lui si è impegnato
per garantire alla giornalista le migliori condizioni di
detenzione. Allo stesso tempo, però, il viceministro ha
affrontato la questione di Mohammad Abedini Najafabadi, il
cittadino iraniano bloccato il 16 dicembre scorso su ordine
della giustizia americana all'aeroporto di Malpensa. Roma,
attraverso la magistratura e il ministero della Giustizia, deve
decidere se accogliere o meno la richiesta Usa di estradizione,
mentre Teheran vorrebbe la sua scarcerazione. Proprio Abedini,
secondo l'Iran, sarebbe la pedina principale da mettere sul
tavolo per uno scambio con Sala.
Che l'arresto della reporter italiana possa essere utilizzato
dal regime degli ayatollah come leva politica appare ormai
l'ipotesi prevalente. Ne sono convinti gli Stati Uniti, che
hanno denunciato le detenzioni illegali in Iran di cittadini di
molti Paesi, ed anche le organizzazioni internazionali. Secondo
il portavoce di Amnesty Italia, Riccardo Noury, la genericità
delle accuse a Sala "è un segnale che è stata arrestata per fare
uno scambio". "Dalla postura di chi ha intervistato, alle regole
sul velo o alla propaganda contro il regime, avrebbero detto
subito quali sono i reati di cui è accusata", ha rilevato.
Cecilia, nel frattempo, attende lo sviluppo della vicenda nel
famigerato carcere di Evin, assistita dall'ambasciata. In buone
condizioni di salute, pur se comprensibilmente preoccupata, ha
spiegato ieri Antonio Tajani. Senza sbilanciarsi sui tempi del
suo rilascio, perché "la trattativa è molto delicata", ha
sottolineato il vicepremier, chiedendo "il massimo riserbo". Nel
frattempo, governo e intelligence continuano a valutare ogni
strada per sbloccare la situazione. Nessuna ipotesi viene
esclusa, compresa quella di uno scambio triangolare: ossia la
liberazione di prigionieri iraniani in altri Paesi. Nel caso
prevalesse questa linea, servirebbe l'intervento degli Stati
Uniti. Da questo punto di vista, i riflettori sono puntati sulla
visita a Roma di Joe Biden, che oltre a papa Francesco vedrà il
presidente Sergio Mattarella e la premier Giorgia Meloni. La
missione è in programma dal 9 al 12 gennaio. A meno di un cambio
di agenda, a causa dei funerali di Stato di Jimmy Carter che si
celebreranno proprio il 9.
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