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Pantani: 10 anni dopo, il 'Pirata' è sempre in rosa

Pantani: 10 anni dopo, il 'Pirata' è sempre in rosa

Domò l'Alpe d'Huez, il Galibier, il Mortirolo e tutte le montagne degli Dei

ROMA, 09 maggio 2014, 15:43

Sandro Verginelli

ANSACheck

- RIPRODUZIONE RISERVATA

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Domò l'Alpe d'Huez, il Galibier, il Mortirolo e tutte le montagne degli Dei con le sue gambe d'acciaio, l'agilità del felino e un cuore grande così. In salita sognava e fece sognare. A dieci anni dalla scomparsa, di Marco Pantani non resta solo il ricordo di campione genuino, carismatico, coraggioso, appassionato. Resta il Mito, la storia di un eroe tragico, di un campione irripetibile per tutte le emozioni che è riuscito a trasmettere nel Paese di Coppi e Bartali, di un uomo passato dalla gloria al fango, che ha scalato ogni vetta e conosciuto anche il baratro. Il 'Pirata' se n'è andato il giorno di San Valentino di 10 anni fa, paradosso della Storia per chi ha fatto innamorare di sé tutta l'Italia, che lo vedrà e immaginerà per sempre con la maglia rosa addosso. Marco Pantani "è morto perché era incredibilmente forte e incredibilmente fragile", scrisse Gianni Mura ed è la sintesi migliore per ricordarlo. Di miti è ricca la storia sportiva e non solo. Ciascuno a modo suo. Coppi è un mito, Bartali è un mito e anche Marco Pantani è uno di loro, eroe indiscusso di un ciclismo che non esiste più, dell'entusiasmo popolare. Uno che correva da solo contro tutti, capace di far battere forte il cuore, di far piangere e sorridere insieme.

Per questo i suoi tifosi lo hanno sempre amato, nonostante tutto, nonostante le accuse di doping, la cocaina, i dubbi e le polemiche. Nonostante quel modo di andarsene. Il 14 febbraio 2004 lo trovarono morto in una fredda stanza di un residence di Rimini. Aveva solo 34 anni e un carico grande così di disperazione: Marco Pantani, uno dei più grandi ciclisti italiani di sempre, tra i migliori scalatori della storia. Iniziò a correre con la vecchia bici di mamma Tonina, i giovani del Gruppo ciclistico di Cesenatico non avevano mai visto quel ragazzino mingherlino che però al primo allenamento staccò tutti in salita. Quando firmò il primo contratto da professionista Davide Boifava gli disse: 'Ricordati che ti ho fatto un bell'accordo', e lui di tutta risposta: 'Guarda che l'affare l'hai fatto tu, perché un giorno vincerò Giro e Tour'. Marco mantenne la parola. L'inizio per la verità fu difficile perché una lunga serie di infortuni si mise di traverso. Nel '95 fu travolto da un'auto e saltò la corsa rosa. Puntò tutto sul Tour de France e sull'Alpe d'Huez inanellò la prima perla della sua leggendaria carriera.

Nell'ottobre di quell'anno, dopo essere arrivato terzo al Mondiale, un altro incidente lo costrinse a una lunga degenza. Ma la sfortuna non lo molla e al Giro del'97 un gatto gli taglia la strada e lo fa cadere, costringendolo ad abbandonare la corsa. Ancora una volta è il Tour il salvagente, con un'altra magnifica vittoria sull' Alpe d'Huez e il podio finale dietro a Ulrich e Virenque. L'anno d'oro è il 1998, quando il 'Pirata' irrompe definitivamente nell'Olimpo dei più grandi di sempre, conquistando sia il Giro che Tour, con le memorabili tappe di Montacampione, del Galibier e di Les Deux Alpes. Il 1999, dopo altre grandi imprese in salita (Gran Sasso, Oropa, Pampeago), segna l'inizio della discesa: il 5 giugno, dopo la tappa di Campiglio, i controlli fanno emergere un ematocrito oltre i margini di tolleranza. Non è doping ma tanto basta per sospenderlo dalla corsa. Marco è stordito, spaventato: "Mi sono rialzato, dopo tanti infortuni, e sono tornato a correre. Questa volta, però, rialzarsi sarà per me molto difficile".

E' l'inizio dell'oblio e della depressione e quando Pantani torna in gara nel 1999, del campione è rimasta un'ombra sbiadita. Nel 2003 sceglie di ritirarsi per curarsi dalla depressione e dalla dipendenza dalla cocaina. Il resto sono cronaca e una data: 14 febbraio 2004, quando Marco viene trovato morto stroncato da un'overdose di cocaina, l'ultima salita che forse immaginava potesse essere la sua più grande vittoria. Aveva attaccato Tonkov, demolito Berzin, Jalabert, distrutto Ullrich, ma non era riuscito a sopravvivere a sé stesso. Marco non aveva mai avuto paura di nessuno, è vero, ma solo in bicicletta. La vita è stata per lui un'altra cosa. Dieci anni dopo, di quell'uomo speciale che ha elettrizzato e infiammato milioni di appassionati il ricordo non è sbiadito e il mito lo ha preso in custodia. Il suo posto nella storia del ciclismo è lì, ci è entrato per merito, col passo svelto dell'uomo di mare che ama le montagne, se l'è ritagliato, guadagnato con imprese epiche, emozionanti. Altri campioni hanno vinto molto e tanto più di lui ma di Marco si può ripetere quello che si disse per Coppi e del suo eterno rivale: è vero, Bartali ha vinto di più, ma Coppi e' stato un'altra cosa.

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