"Ma qualcuno può domandarsi: ma perché il Papa va dai musulmani e non solamente dai cattolici?". E' la domanda, evocata da Francesco, a cui lui stesso ha voluto rispondere oggi, nell'udienza dedicata al viaggio in Marocco. "Quello che Dio vuole è la fraternità tra noi e in modo speciale - qui il motivo di questo viaggio - con i nostri fratelli figli di Abramo come noi, i musulmani. Non dobbiamo spaventarci della differenza: Dio ha permesso questo. Ma dobbiamo spaventarci se noi non operiamo nella fraternità, per camminare insieme nella vita", ha spiegato.
"Come mai ci sono tante religioni? - ha chiesto, sempre 'a braccio' - Con i musulmani siamo discendenti dello stesso Padre, Abramo: perché Dio permette che ci siano tante religioni? Dio ha voluto permettere questo: i teologi della Scolastica dicevano la 'voluntas permissiva' di Dio. Egli ha voluto permettere questa realtà: ci sono tante religioni; alcune nascono dalla cultura, ma sempre guardano il cielo, guardano Dio".
Il viaggio apostolico nel Paese maghrebino - per il quale ha ringraziato le autorità marocchine e specialmente il re Mohammed VI, che "è stato tanto fraterno, tanto amico, tanto vicino" - è stato definito dal Papa "un altro passo sulla strada del dialogo e dell'incontro con i fratelli e le sorelle musulmani, per essere - come diceva il motto del viaggio - 'Servitore di speranza' nel mondo di oggi". "Il mio pellegrinaggio ha seguito le orme di due santi: Francesco d'Assisi e Giovanni Paolo II. 800 anni fa Francesco portò il messaggio di pace e di fraternità al Sultano al-Malik al-Kamil; nel 1985 Papa Wojtyla compì la sua memorabile visita in Marocco, dopo aver ricevuto in Vaticano - primo tra i capi di Stato musulmani - il re Hassan II" ha detto.
Per il Papa "servire la speranza, in un tempo come il nostro, significa anzitutto gettare ponti tra le civiltà". Ed "è stata una gioia e un onore poterlo fare col nobile Regno del Marocco, incontrando il suo popolo e i suoi governanti". Con Mohammed VI "abbiamo ribadito il ruolo essenziale delle religioni nel difendere la dignità umana e promuovere la pace, la giustizia e la cura del creato, cioè la nostra casa comune". In questa prospettiva "abbiamo anche sottoscritto insieme con il re un Appello per Gerusalemme, perché la Città santa sia preservata come patrimonio dell'umanità e luogo di incontro pacifico, specialmente per i fedeli delle tre religioni monoteiste".
Francesco ha ricordato la visita al Mausoleo di Mohammed V e all'Istituto per la formazione degli imam, che "promuove un Islam rispettoso delle altre religioni e rifiuta la violenza e l'integralismo, cioè sottolinea che noi siamo tutti fratelli e dobbiamo lavorare per la fraternità". In più, "particolare attenzione ho dedicato alla questione migratoria". Proprio a Marrakech, in Marocco, nel dicembre scorso è stato ratificato il "Patto mondiale per una migrazione sicura, ordinata e regolare": "un passo importante verso l'assunzione di responsabilità della comunità internazionale", ha detto Francesco, riassumendo in quattro verbi il contributo della Santa Sede: "accogliere, proteggere, promuovere e integrare".
"Non si tratta di calare dall'alto programmi assistenziali - ha osservato -, ma di fare insieme un cammino attraverso queste quattro azioni, per costruire città e Paesi che, pur conservando le rispettive identità culturali e religiose, siano aperti alle differenze e sappiano valorizzarle nel segno della fratellanza umana". Poi un'ultima considerazione: "A me non piace dire 'migranti'; a me piace più dire 'persone migranti'. Sapete perché? Perché migrante è un aggettivo, mentre il termine persona è un sostantivo". La "cultura dell'aggettivo" in cui siamo caduti è "troppo liquida, troppo gassosa": "usiamo tanti aggettivi e dimentichiamo tante volte i sostantivi, cioè la sostanza. L'aggettivo va sempre legato a un sostantivo, a una persona; quindi una 'persona migrante'. Così c'è rispetto".
Riproduzione riservata © Copyright ANSA