Alexander McQueen è stato un visionario talento della moda, tanto geniale quanto ossessionato dai ricordi di un'infanzia interrotta da una brutale violenza.
Un docufilm girato da Ian Bonhote, co-diretto e sceneggiato da Peter Ettedgui (in sala dal 10 al 13 marzo per I Wonder stories) ne racconta la vita, la carriera, il talento e le ossessioni. Nato a Londra nel 1969 e morto suicida a 41 anni (2010) ha rivoluzionato con la sua arte sartoriale e con il suo modo di concepire le sfilate come spettacoli teatrali.
Lee come viene chiamato da tutti, era il più piccolo di una famiglia dell'East London, della working class inglese, padre autista di taxi e sei tra fratelli e sorelle. Nessun segnale faceva presagire che quel ragazzo goffo, grasso e timido sarebbe diventato uno stilista iconico. Anzi. E' lo stesso McQueen, già famoso e già direttore creativo della Givenchy, a rivelare in un'intervista di "essere stato abusato da bambino da suo cognato e di aver visto picchiare con violenza sua sorella dallo stesso marito". Una tragedia che segnerà per sempre la sua vita e la sua arte, come ammette anche la sorella in un'intervista. Un dramma, secondo i testimoni, che contribuirà alle visioni insanguinate che permeeranno tutta la sua moda e i suoi defilè, e darà inizio alla depressione che lo porterà al gesto estremo d'impiccarsi. Un suicidio avvenuto appena dopo il funerale di sua madre, a tre anni di distanza da quello della sua amica e musa Isabel Blow, artefice del suo successo e del suo ingresso alla direzione creativa di Givenchy. Lee e Isabel erano legatissimi, ma lei ammette nel film, di essersi allontanata dal suo amico perché non aveva avuto un ruolo nella maison francese dove lei lo aveva presentato. Rimasto solo Lee lavorava come un pazzo a 14 collezioni l'anno.
La Alexander McQueen era la sua creatura, ma la direzione di Givenchy era lo scotto da pagare per aver i soldi per far sfilare la sua maison. Era stato per anni senza denaro che investiva tutto nei suoi folli show. Dopo ogni defilé non aveva neppure i soldi per comprare un litro di latte. Non pagava i suoi collaboratori e andava di lusso quando pranzavano da McDonald. Era arrivato a vendere il 51% del suo marchio al gruppo Gucci che gestiva anche Givenchy, incassando 50 milioni di dollari. Una cifra enorme che lo cambiò. Si fece fare una liposuzione per cambiare la sua figura. Divenne irriconoscibile, ma la depressione lo divorava in segreto portandolo alla droga. Lee aveva lasciato la scuola a 16 anni per lavorare a Savile Row con i sarti Gieves & Hawkes e i costumisti Berman & Nathans. A 20 anni era andato a Milano dove aveva collaborato con Romeo Gigli. Nel '92 era tornato a Londra per studiare alla Saint Martin's School of Art, la retta pagata da sua sorella. Nel '96, a soli 27 anni, era diventato direttore creativo di Givenchy al posto di Galliano. Ma a Parigi le regole erano ferree e lui resistette fino al 2001, anno in cui abbandonò la maison definendola costrittiva. In questo periodo si era imposto all'attenzione dei media con sfilate trasgressive e scioccanti, al punto di essere definito 'hooligan della moda'.
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