La difesa di Alberto Stasi rilegge le tracce, seppur degradate, di dna estratto dai frammenti di materiale ritrovato sotto le unghie di Chiara Poggi e disegna un nuovo identikit del killer della giovane donna assassinata nella sua villetta a Garlasco il 13 agosto 2007. Non è l'ex studente bocconiano, che puntano a far uscire dal carcere di Bollate dove sta scontando una condanna definitiva a 16 anni, bensì un altro giovane che ben conosceva la vittima, che la mattina del delitto poteva trovarsi nel piccolo centro della Lomellina e il cui materiale genetico prelevato a sua insaputa attraverso un cucchiaino e una bottiglia di acqua "combacia perfettamente" con quello rinvenuto anni fa sotto le unghie della vittima. E' la convinzione di Fabio Giarda e Giada Bocellari che, anche su richiesta della mamma di Alberto, hanno incaricato un'agenzia di investigazione e un esperto genetista di cui non hanno voluto svelare l'identità per nuove indagini difensive. L' esito ha portato a chiedere la revisione del processo alla Corte d'Appello di Brescia e l'apertura di una nuova inchiesta da parte della Procura di Pavia, "il prima possibile". Il risultato è contestato da Gian Luigi Tizzoni, legale dei Poggi, che ritiene non sia una prova "scientificamente valida" da far riaprire il caso. Mamma Rita è netta: "C'è una sentenza definitiva e per noi quella vale. Se la difesa ha un nome, lo faccia pubblicamente, senza nascondersi dietro un dito". Invece la difesa, che si è rifiutata di fare nomi, "per rispetto della privacy, degli accertamenti e perché non vogliamo che accada quel che è successo ad Alberto", dopo aver riletto le carte e individuato un giovane il cui nome non è nuovo (ma ai tempi fu scagionato dai pm) e sul quale "molte cose non tornavano", hanno provveduto ad effettuare loro accertamenti. Si tratta di una persona che gravitava a Garlasco, che conosceva forse anche abbastanza bene Chiara e che la mattina del delitto poteva trovarsi nei paraggi della villetta dei Poggi, a cui é stato prelevato "secondo i termini di legge" un campione Dna. "Quel reperto genetico - hanno aggiunto rispondendo alle domande dei cronisti - non era utilizzabile scientificamente ai fini del confronto con il dna di Alberto", i marcatori sovrapponibili erano 5 e non raggiungevano dunque il numero necessario cioè 9. "E' stato possibile invece compararlo - hanno continuato - con il nuovo soggetto" individuato a "colpo sicuro" e le cui tracce genetiche sotto le unghie di Chiara "non sono spiegabili". Non così, invece, per Tizzoni: "Quella dei difensori non è prova scientifica né decisiva: non basta per una revisione del processo e soprattutto anche la presenza di una seconda persona non scagionerebbe Stasi". L'avvocato ha infatti sottolineato che quella del dna non è ma stata considerata un prova determinante, come al contrario le impronte dell'ex bocconiano sul portasapone nel bagno di casa Poggi mischiate a microtracce di sangue di Chiara o il racconto ritenuto non vero della camminata in casa e del ritrovamento del cadavere. Inoltre, "nella sentenza in Cassazione si dice che non c'è stato contatto tra vittima e assassino e che Chiara non avrebbe avuto modo di difendersi", dunque la presenza di materiale sotto le sue unghie non sarebbe neanche un indizio. Quindi, rifacendosi alle conclusioni ribadite ancora oggi dal perito della Corte d'Appello, il professor Francesco De Stefano, "quel dna è stato estrapolato sette anni dopo l'omicidio ed è scarso e degradato e quindi non più utilizzabile". Infine Tizzoni, nel replicare alle "presunte novità" difensive ha tenuto a rimarcare che Stasi "non rispetta la sentenza, pretende di avere diritti ma non rispetta i doveri" e "ha scelto di sottrarsi al risarcimento del danno in favore dei familiari di Chiara ed al pagamento di quanto dovuto allo Stato".
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