di Francesco Terracina
(GIAN MAURO COSTA, "LUCI DI
LUGLIO", MONDADORI, PP. 189, 18 EURO). In una storia universale
dei perdenti, i protagonisti di "Luci di luglio", romanzo di
Gian Mauro Costa da oggi in libreria, entrerebbero di diritto.
Tra i protagonisti non ci sono soltanto gli stravaganti
personaggi nati dalla penna dello scrittore palermitano, ma
anche i fatti reali che il libro rievoca e che nel loro franare
trascinano parecchie vite. Siamo nel luglio 1960, nella
settimana che va dall'8 al 14. Si comincia con la manifestazione
di piazza indetta a Palermo per protestare contro la mancanza di
lavoro e finita con l'intervento delle forze dell'ordine che
provoca quattro morti. Il Paese è in subbuglio da giorni, da
quando Genova si è ribellata alla scelta del Movimento sociale
italiano di tenere il proprio congresso a Genova, al Teatro
Santa Margherita, a due passi dal sacrario dei caduti
partigiani. Manifestazioni, represse dal governo Tambroni, si
svolgono a Roma, a Bologna, a Modena, a Napoli, a Catania, a
Reggio Emilia, dove il 7 luglio la polizia uccide Ovidio
Franchi, Lauro Farioli, Marino Serri, Emilio Reberberi, Afro
Tondelli, nomi che una canzone di Fausto Amodei continua a
scandire.
In quei giorni Palermo - atterrita dalla profezia di fratello
Emman che ha previsto la fine del mondo per le 13.45 del 14
luglio - lotta comunque per il pane, mentre a Monreale, sulla
collina che sovrasta il capoluogo siciliano, il paese si stringe
attorno ai propri campioni che fanno faville nel quiz televisivo
di Mike Bongiorno "Campanile sera". E qui s'inseriscono le
vicende di Gaetano e Franco, due adolescenti di Monreale, un
cameriere e un apprendista muratore, salvati da un sindacalista
durante gli scontri di piazza. I due pensano di dare una svolta
alle loro vite sequestrando un professore, Nino Morello, il più
geniale dei componenti del cosiddetto Pensatoio, il gruppo che
elabora le risposte del quiz. I due ragazzi intendono chiedere
un riscatto al comitato che gestisce la squadra dei partecipanti
alla trasmissione, ritenendo che senza il professore l'imminente
gara con gli avversari di Chioggia condannerebbe alla sconfitta
i siciliani, dopo settimane di trionfo.
Morello, che ha fama di menagramo, prova a spiegare agli
improvvisati rapitori che nessuno pagherebbe una lira per la sua
liberazione. La tragedia si trasforma in farsa, ma l'episodio
del rapimento cambia la vita di tutti i protagonisti, offrendo a
Franco, figlio di un ciabattino, un'inattesa scalata sociale. A
distanza di circa sessant'anni, quando uno stacco narrativo ci
porta quasi ai giorni nostri, ecco che quella farsa muta di
nuovo in tragedia. Franco, l'io narrante, per riallacciare un
legame col presente sente la necessità di ripartire da dove
aveva lasciato, di sanare la frattura che l'aveva scollegato
dalla vita.
Costa, che con questo romanzo si prende una pausa dal noir,
frequentato con successo da oltre vent'anni, restituisce uno
spaccato del periodo raccontando con partecipe disincanto il
declino di una generazione, la sua, intenta a inseguire quel
poco che continuamente manca per avere tutto. Un'idea della vita
che finisce per spazzare via ogni desiderio di cambiare davvero
le cose.
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