Pubblichiamo in anteprima, per
gentile concessione della casa editrice Longanesi, uno stralcio
dall'autobiografia di Will Smith, 'Will', che esce il 9 novembre
e sarà nelle librerie italiane l'11 novembre nella traduzione di
Paolo Lucca e Giuseppe Maugeri.
Nel brano del memoir di oltre 400 pagine, scritto con Mark
Manson, con un inserto fotografico inedito, Will Smith racconta
l'esperienza sul set del film su Muhammad Alì, ruolo che lo
consacrò nell'empireo hollywoodiano e che all'inizio voleva
rifiutare non sentendosi all'altezza.
"Sono pochi al mondo gli esseri umani che possono davvero dire
di sapere chi sono, che cosa sono e che hanno le idee chiare su
ciò che sono chiamati a fare in questo mondo: Gandhi, Madre
Teresa, Martin Luther King, Nelson Mandela, e anche giovani a
loro modo rivoluzionari come Malala Yousafzai e Greta Thunberg.
Ognuno di loro ha accettato la propria missione divina ed è
disposto a soffrire per ciò che è giusto e per fare del bene al
prossimo. La loro determinazione ha qualcosa di esaltante: sono
calmi, decisi e compassionevoli anche nel bel mezzo della
battaglia, nella peggiore delle tempeste. Solo stare alla loro
presenza ci ispira a perseguire obiettivi più elevati. Vogliamo
imitarli, metterci al loro servizio, combattere al loro fianco.
Incontrai il campione, sua moglie Lonnie e le sue figlie Laila e
May May a Las Vegas.
Alì se ne stava seduto davanti a un piatto di zuppa di pollo con
noodles. Anche se non avevo intenzione di impersonarlo, non
riuscii a impedirmi di osservare i suoi capelli, la forma delle
sue labbra intorno al cucchiaio, la mano sinistra aggrappata al
tavolo mentre mangiava con la destra, la fluidità sorprendente
dei suoi movimenti. Quando sollevò gli occhi e mi vide, si esibì
nella sua celebre espressione corrucciata, mordicchiandosi
buffamente il labbro inferiore con gli incisivi superiori.
"Chi ha fatto entrare questo babbeo?" urlò, balzando in piedi.
La famiglia chiaramente conosceva bene quel numero.
Ognuno si calò nel proprio ruolo. May May si piazzò davanti a
suo padre.
"Dai, papà", disse. "Vedi di comportarti bene oggi."
Ali finse di volerla spingere via.
"Questo babbeo pensa di poter venire a casa mia. Lascia che lo
affronti", disse, parlando proprio come Muhammad Alì.
A quel punto intervenne Lonnie. Ora lei e May May cercavano
entrambe di trattenere Alì.
"Su, tesoro", gli disse Lonnie con tono affabile, "finisci la
zuppa. Possiamo passare almeno un giorno in cui non attacchi
briga con qualcuno?"
Per non restare tagliato fuori, decisi di stare al gioco.
"Ascolta tua moglie, campione", dissi, "mangia la zuppa. Non ti
conviene provarci con me."
Ali finse di andare su tutte le furie.
"Ecco! Questo è troppo! Levatevi di torno! Voglio sentire come
parla quando gli avrò infilato un pugno in bocca!"
Tutti quanti scoppiammo a ridere. Chissà quante altre volte la
sua famiglia aveva messo in scena questo siparietto! Ma quella
volta quello era il regalo che Alì aveva voluto fare a me:
sapeva che ne avrei parlato per il resto della mia vita.
Alì era fatto così. Provava sempre a inventarsi qualcosa che ti
avrebbe fatto sorridere per sempre. Sapeva di essere Muhammad
Alì; sapeva cosa questo significasse per gli altri; e non c'era
nulla che non fosse disposto a fare per lasciare impresso nel
tuo cuore un tenero ricordo.
L'anno di allenamento e i cinque mesi di riprese di Alì furono
la prova mentale, fisica ed emotiva più estenuante di tutta la
mia carriera, ma anche quella da cui uscii più trasformato.
Avevo visto il mondo comportarsi in modo diverso con questo
film. Il solo nome di Alì bastava ad aprirci ogni porta; non mi
era mai capitato prima. Chiunque avvicinassimo ci voleva
aiutare. La stima di cui Alì godeva era un ottimo lubrificante
per gli ingranaggi della produzione e della logistica:
trattative, permessi, location, casting… Tutti quanti volevano
mostrarsi utili per il campione. Qualsiasi cosa ci servisse per
raccontare bene la sua storia, la risposta era sempre sì. Non
per la sua fama o per i titoli vinti come pugile, e nemmeno per
il suo successo o le ricchezze. Il favore con cui venivano
accolti dipendeva dal profondo rispetto che la gente provava per
una vita vissuta con integrità. Alì non aveva mai rinunciato
alle proprie convinzioni e ai propri principi nonostante le
gravi ingiustizie subite, i profondi pregiudizi di cui era stato
vittima e i disastri finanziari a cui era andato incontro. Era
il più grande pugile di tutti i tempi, eppure diceva sempre: 'La
mia religione è l'amore'".
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