(di Luca Prosperi)
RAFFAELLO PANNACCI, 'L'OCCUPAZIONE
ITALIANA IN URSS, LA PRESENZA FASCISTA FRA RUSSIA E UCRAINA
(1941-1943)' (Carocci Editore, p. 310, 35 euro). Per quanto sia
vero che la ricerca storiografica abbia tempi con regole proprie
e non necessariamente in linea con le pulsioni della
contemporaneità, l'ultimo libro di Raffaello Pannacci apre degli
interrogativi sulla funzione stessa della ricerca. Il suo
'L'Occupazione italiana in Urss, la presenza fascista fra Russia
e Ucraina (1941-1943)' (Carocci Editore, p. 310, 35 euro) e che
racconta la realtà non prettamente bellica della Campagna di
Russia conclusasi con le tragiche ritirate dei fanti e degli
alpini nell'inverno 1942-1943, è il primo che scoperchia un vaso
di Pandora mai aperto finora: raccoglie e analizza
organicamente, a quasi 80 anni dagli eventi della Seconda guerra
mondiale, con una formidabile quantità di documenti inediti la
presenza degli italiani per quasi due anni tra Ucraina e Russia.
Per decenni quella che è stata la più importante campagna
militare del fascismo, la più 'fascista' del regime per impronta
ideologica spesso condivisa dai combattenti e preparazione,
quella che più di ogni altra ha lasciato sedimenti duraturi
nella memoria collettiva e che ancora oggi influisce sull'uso
pubblico di quella memoria nella storia repubblicana, è stata
quasi lasciata in appalto alla memorialistica dei reduci, a
studi episodici, alle relazioni dei militari, a pochi storici
volenterosi, alle polemiche politiche post belliche condizionate
dalla Guerra Fredda. Il lavoro di Pannacci, giovane storico
dell'Università di Perugia, si va ad inserire come un anello
mancante nei recenti lavori sulle occupazioni militari italiane
in Grecia, Jugoslavia, Francia, e completa l'universo
occupazionale italiano di un esercito, come ha già chiarito
Schlemmer, 'invasore'.
È un lavoro che tra le carte dello Stato Maggiore dell'Esercito,
i documenti del Servizio Informazione Militare, le relazioni
prefettizie, archivi di stato provinciali, i tribunali militari,
i carabinieri, la diaristica contemporanea, la Banca d'Italia
ecc, cambia letteralmente i connotati, documenti alla mano, di
ciò che il paese si è portato dietro per decenni di quell'evento
e sulla base del quale ha costruito una immagine parziale spesso
artificiale di se. Chi erano gli italiani al fronte russo, come
la pensavano, che pensavano dei sovietici, i rapporti con la
popolazione, con i prigionieri dell'Armata Rossa, i partigiani,
i collaborazionismo con gli ucraini, l'occupazione delle
retrovie, la logistica e la corruzione, l'affarismo di rapina
dei comandi, lo sfruttamento economico, la questione ebraica e i
rapporti con i tedeschi: non ultimo il mito dell' 'italiano bono
soldato', le relazioni con il mondo femminile, culmine di quella
autorappresentazione della bontà latina, che è il paradigma
dell'auto assoluzione da tutte le colpe della guerra. Perché,
rivela Pannacci, pur non negando affatto il paradigma di un
popolo con le caratteristiche di convivialità e generica mitezza
che ci riconosciamo, tutto il resto è quello di una realtà molto
più complessa, più ambigua, meno idilliaca, vittimistica. Si
tratta di uno studio rigoroso, puntuale, circostanziato, dal
quale sorge una domanda ingenua e semplice: dove sono state
queste carte per 80 anni? La risposta di Pannacci è semplice:
dove sempre sono state. Bastava cercarle e, c'è più di un
sospetto, in luoghi molto protetti per anni.
È un testo idealmente erede di 'Italiani, Invasori e non
vittime' di Schlemmer ma non solo: di fronte alla nobiltà della
trincea esce un quadro di una miseria delle retrovie e
dell'organizzazione statuale, di treni carichi di rottami
minerali verso l'Italia, di tonnellate di grano inviate a casa,
di 229 mila italiani che si alimentavano sul luogo sfruttando le
risorse locali ecc. Tutto quello che dopo il tracollo del Don
nel 1943 diventerà tragedia per gli italiani, si pensi ai
prigionieri, sarà solo lo specchio di ciò che era già stato dal
luglio 1941, giorno nel quale gli italiani dello Csir di Messe
misero piede in Unione Sovietica.
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