Liberi dentro. Un gioco di
parole, ma anche la sintesi dello spettacolo andato in scena
nella sala della biblioteca del carcere di Uta, alle porte di
Cagliari. Attori e musicisti, i detenuti dell'istituto
penitenziario. L'aiuto "tecnico" è arrivato da fuori, quello
della compagnia teatrale Cada die, che ha preparato i
protagonisti dello spettacolo. La scena più bella? Quando un
attore detenuto, tra l'altro bravissimo, si è fermato a metà di
un lungo monologo, forse tradito dall'emozione e dalla memoria.
E gli altri compagni di carcere seduti tra il pubblico hanno
applaudito, coprendo il vuoto. E consentendo a chi era in scena
di riprendersi.
Un lavoro di squadra tra chi ha lavorato all'opera e chi ha
assistito: un senso di solidarietà che ha illuminato il
pomeriggio di un posto dove le giornate spesso sono tutte
uguali. "Grazie per questa opportunità - ha detto a fine
spettacolo un giovane detenuto - perché ci ha consentito di
impegnare il tempo in maniera proficua. E penso che sia la buona
strada per un futuro personale migliore". Sul palco venti
detenuti e quattro nazionalità di provenienza: Algeria, Italia,
Nigeria, Venezuela. Tutti che in scena parlavano l'italiano. E
addirittura il sardo perché il testo era "Arcipelaghi", tratto
dal romanzo della scrittrice nuorese Maria Giacobbe. Per tutti
una prima volta. Ma chi li ha guidati, Pierpaolo Piludu e
Alessandro Mascia, non ha potuto nascondere la sorpresa di aver
trovato dei talenti naturali. "Anche se all'inizio - confessano
- sembrava con questo spettacolo di non andare da nessuna parte.
Poi tutto si è messo a posto naturalmente".
E la resa è stata ottima: attori detenuti convincenti e
coinvolgenti. Perché c'è un futuro, anche di teatro, oltre le
sbarre. Una porta è mezzo aperta. "Siete tutti invitati ai
laboratori, faremo ancora teatro insieme", promette Piludu.
Recitazione, ma anche molta musica con una predilezione per i
Tazenda, da Terra Madre a Mamoiada. C'è stata anche una
produzione originale, composta da due detenuti.
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