Il regista Roberto Andò torna alla
direzione di un lavoro teatrale firmando la messa in scena di
"Sarabanda" di Ingmar Bergman, nella traduzione di Renato Zatti,
che vede nel cast Renato Carpentieri, Alvia Reale, Elia Schilton
e Caterina Tieghi. Lo spettacolo andrà in scena alla sala Verga
del Teatro Stabile di Catania dal 4 al 9 marzo. E' prodotto dal
Teatro di Napoli - Teatro Nazionale con il Teatro Nazionale di
Genova e il Teatro Biondo di Palermo. Le scene e le luci sono di
Gianni Carluccio, i costumi di Daniela Cernigliaro, le musiche
di Pasquale Scialò, il suono di Hubert Westkemper.
"Sarabanda - scrive Andò nelle note allo spettacolo - è il
film-testamento di Ingmar Bergman. Il grande regista lo girò nel
2003 con una telecamera digitale, affidandolo a due attori
simbolo della sua filmografia come Erland Josephson e Liv
Ulmann. È concepito in dieci scene in cui, volta per volta, si
avvicendano due dei quattro personaggi che ne compongono il
disegno. Una struttura musicale che allude alla sarabanda, una
danza per coppie solenne e lasciva che venne proibita nella
Spagna del sedicesimo secolo, per poi essere adottata da grandi
compositori come Bach o Handel". In questa sorta di
testamento artistico, il maestro svedese torna a parlare dei
protagonisti di "Scene da un matrimonio" diventati, trent'anni
dopo, più maturi ma anche più spietati. Il loro è un ultimo
confronto che, in presenza di un figlio e di una nipote,
evidenzia le molteplici sfumature delle relazioni umane e
familiari e la loro capacità di generare rimpianti, rimorsi,
rancori. Il mistero dell'amore e dell'odio, l'ineluttabile
conflitto tra genitori e figli, tra indifferenza e attaccamento
morboso, la vecchiaia, l'angoscia degli «ultimi giorni», lo
scenario della vita, «troppo grande» per la debolezza umana,
sono i temi di questa Sarabanda, danza lenta e severa in cui le
coppie si formano e si disfano: dieci scene, dieci dialoghi in
cui i personaggi s'incontrano a due a due, per sciogliersi
definitivamente nell'esecuzione di padre e figlia della omonima
suite bachiana. Un testo scomodo nella sua cruda onestà, ma il
cui vero messaggio non è affidato alle parole, ma ai silenzi e
ai gesti: alla tenerezza di un abbraccio, di un tenersi per
mano, di un denudarsi accettando di rivelare l'uno all'altro la
fragilità di corpi segnati dal tempo e dal peso di vivere.
"Il Bergman di Sarabanda - sottolinea ancora il regista - non
sembra credere più a nulla, è disperatamente distruttivo, e
incatena i propri personaggi a un pessimismo totale sul senso
delle relazioni umane".
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