"Era una polacca, una kapo di
Auschwitz che ho riconosciuto quasi subito quando mi ha fermato
in un negozio a Roma e mi ha detto 'tu sei Edith di Auschwitz'.
Mi è preso un colpo. Mi sono voltata e ho visto la donna dal
cappotto verde". Lo racconta la scrittrice e poetessa Edith
Bruck, sopravvissuta alla deportazione, stasera a Cinque Minuti
di Bruno Vespa su Rai1, parlando dell'incontro casuale con La
donna dal cappotto verde che ha ispirato uno dei suoi libri più
conosciuti, uscito nel 2012, che torna ora in libreria per La
nave di Teseo.
Si chiamava Lola e temeva di essere denunciata da lei. Perché
non la denunciò? "Non ero convinta di denunciare perché non
potevo sapere cosa aveva vissuto lei che era stata deportata due
anni prima di noi ebrei-ungheresi. Non mi piace denunciare, non
ho mai denunciato nessuna kapo. Ne ho incontrata anche un'altra,
in Israele".
Lei, ricorda Vespa, fu deportata con la famiglia nel 1944
quando aveva 13 anni, alla fine siete sopravvissute lei e sua
sorella. Al momento della selezione lei voleva andare a sinistra
con sua madre e invece la tirarono per un orecchio e la
portarono a destra con sua sorella e fu la sua salvezza. "Mi
hanno buttato con mia madre a sinistra che voleva dire la camera
a gas immediatamente, invece a destra i lavori forzati. Avevo 13
anni il programma era che non dovessi sopravvivere. L'ultimo
tedesco a sinistra si è chinato su di me e mi ha sussurrato vai
a destra, vai a destra. Io non volevo andare. Allora non sapevo
cosa fossero sinistra e destra, sia chiaro. Non volevo lasciare
la mamma, mi sono aggrappata con tutte le mie forze, poi lei
inginocchiata ha supplicato il tedesco di lasciare l'ultimo dei
suoi figli, la più piccola. Lui ha preso il calcio del fucile,
mia madre è caduta e poi mi ha battuto il fucile sul collo, mi
ha trascinato, ero aggrappata a mia madre con le unghie, mi ha
dato delle botte fino a che non mi sono trovata a destra. Mi ha
dato la possibilità di salvarmi" racconta.
È vero che vi ha mostrato il fumo dicendo 'quella è vostra
madre'? "Ho pianto per tre settimane per mia mamma. Il kapo del
blocco mi diceva 'non disturbare i tedeschi, piantala, basta!'.
Alla fine non ne poteva più e ha detto 'Vieni ti faccio vedere
io dove è tua madre'. Mi ha portato all'ingresso del blocco e
mi ha detto: 'vedi quel fumo, è lì tua mamma. Era un po' grassa
mi ha chiesto? Si, un pochino. Allora hanno fatto sapone come
della mia. E creperete tutti voi come noi che siamo qua da due
anni'".
Ebrea ungherese naturalizzata italiana, moglie del poeta e
regista Nelo Risi, morto nel 2015, Edith Bruck, che da molti
anni vive a Roma e a maggio di quest'anno compirà 94 anni spiega
che "da Auschwitz non si può mai uscire. Si porta dentro tutta
la vita.
A parte che io scrivo libri e vado nelle scuole da oltre 64
anni e questo in parte mi aiuta e in parte è molto faticoso,
credo sia un dovere morale raccontare perché non si sa mai
abbastanza, non si saprà mai abbastanza. Come diceva Primo Levi
puoi raccontare ma non potranno forse mai comprendere".
A Vespa che le chiede "Quando voi non ci sarete più chi
parlerà della Shoah?" risponde: "Come dice Liliana Segre sarà un
oblio totale. Ma io credo che qualcosa rimarrà, almeno della mia
testimonianza. Andrò avanti fino all'ultimo respiro, è un dovere
morale raccontare".
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