"Questo è il giorno più felice della mia vita, sento come se la mia anima e la mia vita fossero tornate da me".
Lamees al-Iwady non riesce a trattenere la gioia al suo arrivo a Gaza City dopo aver perso il conto delle volte in cui è stata sfollata in 15 mesi di guerra nella Striscia.
La 22enne palestinese è tra le centinaia di migliaia di persone che sono riuscite a tornare a piedi e in auto nel nord dell'enclave, grazie alla svolta di domenica sera sul destino dell'ostaggio israeliano Arbel Yehud, della quale intanto la Jihad palestinese ha diffuso un video in cui lei afferma di stare bene.
Dopo una negoziazione serrata, il governo di Benyamin Netanyahu e Hamas hanno infatti concordato di attuare un ulteriore rilascio di ostaggi giovedì, quando saranno liberati Arbel, la soldatessa Agam Berger e un altro rapito. In cambio, le forze israeliane hanno acconsentito al passaggio dei gazawi attraverso il corridoio di Netzarim - che divide in due la Striscia - permettendo loro di tornare a casa, o a ciò che ne rimane.
Sin dalle prime ore del mattino, un fiume di sfollati si è riversato verso la parte settentrionale dell'enclave. Una marea umana di pacchi, buste, carretti, bici e anche automobili per chi è più fortunato: i pochi resti di una vita sventrata dall'ennesima guerra nella Striscia. In serata, Hamas ha riferito che 300.000 civili sono tornati nel nord nella prima giornata di apertura del valico.
Un attraversamento organizzato e che potrebbe richiedere anche giorni di attesa, con contractor egiziani che ispezionano persone e auto con scanner alla ricerca di armi ed esplosivi, perché l'accordo sulla tregua prevede che per tornare a nord si debba essere disarmati. E se da una parte la gioia è il sentimento che riempie la folla finalmente libera di tornare a casa, dall'altra resta la desolazione per una terra ormai ridotta a deserto e a cumuli di macerie da 15 mesi di bombe a tappeto: secondo le stime del governo, la popolazione di Gaza City e del nord avrà bisogno di 135.000 tende e roulotte.
"Ma le case le ricostruiremo, anche se sarà con fango e sabbia", è convinta Lamees.
Con l'apertura del passaggio verso nord, Hamas ha rivendicato il ritorno degli sfollati come "una vittoria" per il popolo palestinese e "la sconfitta dei piani di occupazione" e dello "sfollamento" proposto dal presidente degli Stati Uniti Donald Trump, che nei giorni scorsi ha ventilato l'idea di "ripulire" Gaza trasferendo i gazawi in Giordania ed Egitto. Una proposta immediatamente condannata dai Paesi interessati e da altri leader regionali, compreso il presidente dell'Anp Abu Mazen.
Come previsto, l'idea è invece piaciuta all'ultradestra israeliana, da Smotrich a Ben Gvir. E potrebbe finire sul tavolo di un colloquio tra lo stesso tycoon e Netanyahu: secondo il portale israeliano Walla News che cita tre fonti israeliane e americane, il premier israeliano sarebbe infatti pronto a volare alla Casa Bianca già la prossima settimana - dal 3 al 5 febbraio - diventando così il primo leader straniero a visitare Washington dall'insediamento del nuovo presidente Usa.
Nel frattempo, la gente in Israele resta divisa tra il sollievo di poter riabbracciare i primi rapiti liberati e la logorante attesa per coloro che restano a Gaza, mentre è giunta dalla lista di Hamas - convalidata dal governo israeliano - la tragica conferma che tra i 33 ostaggi da rilasciare nella prima fase di cessate il fuoco, 8 torneranno in Israele da morti.
Questa settimana l'attesa sarà accorciata a giovedì, quando saranno rilasciate Arbel Yehud, Agam Berger e un altro rapito.
Nel frattempo, la Jihad palestinese ha diffuso un video di Yehud, in cui la giovane rassicura la sua famiglia dicendo che sta "bene" e aggiunge che spera di tornare presto a casa "come le altre ragazze". Poi si rivolge a Netanyahu e a Trump chiedendo loro di proseguire con la tregua "in modo che tutti i prigionieri possano tornare" a casa.
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