Nella caccia agli sprechi non sfugge nulla a Donald Trump. Pur essendo impegnato a tutto campo - dalla 'conquista' della Groenlandia e del Canada passando per la pace in Ucraina e Gaza -, il presidente non lascia nulla di intentato. E dopo essersi scagliato contro le "inutili" cannucce di carta ordinando il ritorno a quelle di plastica, prende di mira il penny, la prima moneta degli Stati Uniti d'America nata con il dollaro nel 1793. Il tycoon ha ordinato al Tesoro di non produrla più perché è uno "spreco": vale infatti meno di quanto costa coniarla. "Liberiamoci degli sprechi, anche se un penny alla volta", ha scritto Trump sul suo social Truth.
Non è chiaro se il presidente abbia il potere di imporre lo stop della produzione: è infatti il Congresso, non il Tesoro o la Fed, che autorizza il conio delle monete. Ma Trump ha ragione nel dire che i penny costano più di quanto valgono e da anni gli esperti ne chiedono l'eliminazione. Lo scorso anno la produzione e la distribuzione di un penny è arrivata a costare 3,69 centesimi: questo significa che, tenendo conto del loro valore, per ogni penny c'è una perdita di 2,69 centesimi. Nonostante questo l'opposizione all'eliminazione della moneta, nota ufficialmente come cent ma da tutti chiamata 'penny' è forte. L'American for Common Cents ritiene che abolirli non farà risparmiare soldi e, anzi, la loro scomparsa imporrà una tassa di un centesimo sui consumatori in quanto i prezzi che terminano in 99 centesimi saranno arrotondati. Gli esperti però sono convinti che l'attaccamento ai penny è un po' come quello di Zio Paperone alla sua mitica 'Numero Uno', la prima moneta che aveva guadagnato e che valeva dieci centesimi. Zio Paperone conservò per valore affettivo la Numero Uno, ma convertì tutte le sue monete in banconote. Lo stesso sentimentalismo appartiene, secondo gli esperti, a chi si oppone alla scomparsa dei penny: alla fine, è la convinzione, sarà abbandonato e relegato a un ricordo senza valore economico.
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