(dell'inviato Domenico Palesse)
Una bambina poggia la sua mano su un
sasso. Prova a stendere le dita più che può per riempire
l'impronta impressa su quello che non è semplicemente un pezzo
di pietra, ma un'opera d'arte. Accanto a lei c'è l'autore che,
tutt'altro che contrariato, la incita a provare di nuovo. "Ci
sei quasi, ci sei quasi", scherza. T-shirt e pantaloni neri,
come il buio in cui sono esposte le sue opere, Jago si illumina
quando le sue creazioni riescono a emozionare, incuriosire,
attirare l'attenzione, suscitare sentimenti. "Di certo ho la
paternità dell'opera - dice - ma quella scoperta, quella
creazione è patrimonio di tutti. È come un figlio, si mette al
mondo, si dà, si restituisce".
Jacopo Cardillo ha 37 anni, ha lavorato praticamente in ogni
angolo del mondo, dalla Cina agli Emirati Arabi, dove
attualmente lavora. Nei giorni scorsi era a Gedda, in Arabia
Saudita, dove era ormeggiata l'Amerigo Vespucci, la "nave più
bella del mondo" che da un anno e mezzo sta compiendo il suo
secondo giro attorno al globo. È sua infatti l'opera che
accompagna l'impresa del veliero, la versione femminile del
David, "La David", la cui presentazione probabilmente avverrà a
Napoli - dove sorge il suo museo - in una delle tappe del tour
Mediterraneo della nave scuola della Marina Militare. Ma il 2025
potrebbe essere anche l'anno di Roma. Non è escluso, infatti,
che proprio la Capitale possa ospitare il nuovo laboratorio
dell'artista, originario di Anagni, nel Frusinate. "C'è
sicuramente una prospettiva romana - spiega -. Ci lavoriamo da
tantissimo tempo, ma Roma è granitica, pretende più tempo per
scolpirla, ma non significa che non si possa fare. Tutto sta nel
trovare gli strumenti giusti".
Quando parla del processo creativo gesticola, sembra
modellare l'aria, mentre spiega di avere "idee in
continuazione". "Sono consapevole di non avere il tempo di
realizzarle tutte - dice -. Io devo fare selezione fra le tante
idee possibili per scegliere quelle che secondo me rischiano di
superare la prova del tempo, di lasciare qualcosa d'altro". Jago
si definisce l'"uomo del fare", un "materialista" che non
avrebbe potuto fare altro per comunicare se non scolpire. "Mi
sembra un modo semplice per capire come le cose funzionano -
ammette -. Quello che io produco è in qualche modo l'immagine,
lo strumento, di come io capisco il mondo".
Quando qualcuno lo definisce il "nuovo Michelangelo", lui
sorride. Istintivamente. "Mi fa ridere questa cosa, non serve
uno storico dell'arte per capire che questa è una cosa ridicola
- spiega -. È invece importante essere ambiziosi in maniera
genuina, avere dei riferimenti, seguire i passi di qualcuno per
trovare i propri". "Io - ammette - posso essere me stesso.
Tentare di emulare, di avvicinarmi a qualcosa d'altro è una cosa
abbastanza inutile ma riempirsi di tutto quel bello che è stato
creato, questo si può fare". E poi condividere.
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