(di Anna Laura Bussa)
GABRIELLA GAGLIARDI - GIOVANNI PICO
DELLA MIRANDOLA (ARMANDO EDITORE, PP 110, EURO 10)
In un'epoca come la nostra, in cui il pensiero va oltre la
liquidità e dilaga essenzialmente sui social scadendo il più
delle volte in contrasti sterili e rissosi, scrivere un saggio
su Pico della Mirandola è una sfida da far tremare le vene e i
polsi. Eppure Gabriella Gagliardi, scrittrice e filosofa, l'ha
affrontata nel migliore dei modi, vincendola. Riuscendo a
dimostrare, cioè, nel suo volume "Giovanni Pico della
Mirandola", Armando Editore, come il pensiero del giovane genio
umanista sia di un'attualità sconcertante. O, meglio ancora, sia
un faro al quale si dovrebbe guardare per ritrovare la strada
che sembra ormai smarrita.
La scrittrice analizza molteplici teorie di Giovanni Pico,
confrontandole anche con quelle di filosofi più recenti, da
Sartre a Nietzsche ad Heidegger, su vari temi. A cominciare da
cosa sia l'uomo, quale sia la sua vera essenza e da cosa debba
intendersi per libertà. Ma la parte del saggio che mi ha colpito
di più, anche perché forse interessa maggiormente il dramma dei
nostri giorni, è quella in cui si parla della pace,
dell'apertura nei confronti 'dell'altro'. Il grande pensatore -
che a 24 anni conosceva già perfettamente greco, latino ed
ebraico e che voleva unificare le tre religioni monoteiste:
cristianesimo, Islam ed ebraismo, perché riteneva che esistesse
un unico Dio per tutte le fedi e che nessuna dovesse avere il
primato sulle altre - sosteneva che la pace fosse
sostanzialmente un "sognato dialogo" tra culture. E l''Oratio',
di cui Gabriella Gagliardi ci narra e ci riporta ampi brani, "è
un saggio concreto di questo sogno".
Perché Pico della Mirandola è convinto che i "pensieri degli
uomini siano tutte scintille della verità che illuminano un
aspetto o l'altro di quel vero". Il suo intento, insomma, è
quello di far pensare e di far aprire alla conoscenza,
attraverso quella 'curiositas' che lo caratterizza anche come
uomo, oltre che come filosofo.
In un'epoca drammatica come il 400, che vede la caduta di
Costantinopoli e si chiude con il rogo di Savonarola, la pace,
come spiega bene Gagliardi, era pensata da Pico, amico
prediletto di Lorenzo il Magnifico, come "una politica di pace"
in cui le differenze "si possano confrontare", non occultare.
Sottolineando l'importanza di nutrire "un discorso tra diversi".
Un pensiero troppo avanti il suo, non solo per il '400, ma forse
anche per la nostra epoca, che comunque gli valse la scomunica
da parte di Papa Innocenzo VIII. Pico difendeva e sosteneva il
"sapere aperto", la dialettica, l'apertura verso l'altro,
avversando invece ogni forma di pregiudizio e di chiusura.
Soprattutto mentale. E considerava, come sottolinea il saggio,
la Cultura e l'Amore come i veri pilastri dell'uomo. Lo scontro,
dunque, ci può e ci deve essere, secondo Giovanni Pico, ma senza
"alcun intento denigratorio" e senza alcuna aggressione dell'
avversario. Anzi. Come sintetizza con abilità Gabriella
Gagliardi: "Sì a un confronto senza ostilità precostituite", ma
"non dividendo", bensì "condividendo e unendo". Perché solo così
si raggiunge la pace. Filosofica e non.
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