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Magris racconta oblio del Novecento

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Magris racconta oblio del Novecento

'non luogo a proceder' romanzo mondo costruito su mille storie

ROMA, 14 ottobre 2015, 10:12

Paolo Petroni

ANSACheck

- RIPRODUZIONE RISERVATA

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   - CLAUDIO MAGRIS, ''NON LUOGO A PROCEDERE'' (GARZANTI, pp. 362 - 20,00 euro).
    Questo ultimo libro, chiamiamolo per comodità e per il suo fascino narrativo romanzo, per quel che questo termine oggi significa, è un libro mondo, almeno di tutto un mondo che è quello da cui il nostro è nato e ne è conseguenza. Libro quindi che vive di più storie, parallele o meno, di divaricazioni, contrasti, complessità e divagazioni, che nascono tutte però da una stessa radice e vanno a tessere un unico disegno, a rendere una realtà complessa e contraddittoria, ma comunque chiara. Un libro che è un atto d'accusa, senza esplicitare nulla, ma solo perché lo è di per sé la storia del Novecento che, come il processo per la Risiera di San Sabba (il lager e forno crematorio nazista di Trieste) finisce in un ''Non luogo a procedere''. E allora non resta che ricordare, testimoniare il valore della memoria che si lega anche al nome di quegli uomini che hanno saputo sfidare il senso comune, che hanno saputo non smettere di credere nei valori della vita umana.
    La spina dorsale di queste mille e una storia, sia quelle terribili (di guerra, morte, torture), sia quelle meravigliose (bellissime pagine su Praga e sull'America), è un paradossale museo delle armi ''Ares per Irene ovvero Arcana Belli. Museo totale della Guerra per l'avvento della Pace e la disattivazione della Storia'', secondo l'intitolazione che gli dava il suo creatore, un grottesco e donchisciottesco collezionista di armi, da un cannone a un carro armato a un sommergibile (come scopriamo, mentre Magris ci racconta sala dopo sala), che amava dormire in una bara tra i suoi cimeli, dove finirà incenerito da un incendio, assieme ai suoi taccuini con i nomi meticolosamente ricercati di spie e collaborazionisti durante l'occupazione tedesca di Trieste. La storia di questo personaggio (che ha, solo come punto di partenza, la figura vera di Diego de Henriquez), il quale si racconta in una sorta di libera autobiografia a Luisa Brook, Magris la alterna con quella famigliare di questa donna, figlia di un'ebrea e di un soldato americano nero (a intrecciare storie fruttifere di discriminazioni e persecuzioni), incaricata di realizzare il progetto per la sistemazione del museo.
    La scrittura di Magris è elegante e fine, chiara e capace di farsi poetica pur nell'affabulazione, così da trovare una propria naturale verità in queste due storie da cui nascono storie e altre storie in un divaricarsi e tornare a intrecciarsi inesorabilmente e che, con la forza del loro essere comuni e esemplari insieme, vincono la curiosità del lettore, che le insegue di capitolo in capitolo, sino alla fine che è, come in ogni storia sul Novecento, una non fine. ''No. non c'è alcun 'dopo' la Risiera; nessuno che esca incolume dall'arca, che si culla lieve sul mare tornato tranquillo. Nessuno è sopravvissuto al diluvio, comunque ce la raccontino, perché il diluvio non è mai cessato e il mare è sempre furente. Solo i pesci si sono salvati, indifferenti alle acque in tempesta''. E i muri imbiancati della Risiera, per cancellare denunzie e nomi graffiti nelle celle, diventano l'emblema di tutta la storia umana che ''e un raschiamento della coscienza e soprattutto della coscienza di ciò che sparisce, di ciò che è sparito.....
    La Storia, la società, sono maestre di neurochirurgia e stanno facendo rapidi progressi''.
   

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