Dalla povertà più disperata del Gibuti fino alla gloria olimpica, un viaggio della speranza iniziato da solo, ancora bambino, finendo anche vittima di una spregiudicata trafficante di immigrati, che gli aveva garantito l'ingresso nel Regno Unito con identità e documenti falsi. Ma che poi, una volta sull'isola, ha approfittato della sua vulnerabilità per costringerlo a lavorare come domestico tutto-fare in cambio di un pasto caldo al giorno. Una confessione dolorosa, a cuore aperto, che ora però rischia di costare addirittura la cittadinanza britannica al pluri-olimpionico Mo Farah, protagonista di un'intervista choc alla BBC, nella quale ha confessato - per la prima volta - la sua vera storia. Molto diversa dalla versione che aveva sempre raccontato. Cominciata quando, a soli otto anni, è stato costretto a lasciare casa in cerca di fortuna. Orfano del padre Abdi, morto durante la guerra civile somala quando Mo aveva appena quattro anni, sua madre aveva pensato di trasferire il figlio più piccolo nel Regno Unito dove già vivevano dei lontani parenti. Ad accompagnarlo nel lungo viaggio si era offerta una donna, residente nella periferia di Londra, che Farah non aveva mai visto prima d'allora. Una volta nel Regno, però, dopo aver fornito documenti falsi al futuro campione olimpico, il cui vero nome è Hussein Abdi Kahin, la donna aveva cambiato i piani. "Appena entrati nella sua casa mi ha strappato di mano il foglietto con l'indirizzo dei miei parenti. A quel punto ho capito che ero nei guai", il ricordo di Farah, costretto negli anni successivi a fare le pulizie di casa e occuparmi di altri bambini per poter mangiare, sotto la costante minaccia di non dire nulla a nessuno. Solo a 12 anni a Mo, quando ancora conosceva poche parole in inglese, viene concesso di andare a scuola. "Ma ero un emarginato, stavo sempre solo. Non avevo amici, nessuno con cui parlare". La svolta nella sua vita arriva quando - due anni più tardi - viene finalmente affidato ad un'altra famiglia, di origine somala. "Finalmente mi sono sentito a casa. E anche a scuola è cambiato tutto, perché gli insegnanti si sono accorti che correvo più veloce di tutti. Mi ha salvato la corsa". Il resto è cronaca sportiva: nel giro di qualche anno Farah diventa tra i migliori al mondo nel mezzofondo, fino al duplice trionfo olimpico, quando - in occasione dei giochi di Londra 2012 - vince la medaglia d'oro sia nei cinque che nei diecimila metri. E' la consacrazione che gli vale anche l'onorificenza di "Sir". Ora però, in seguito a queste rivelazioni, c'è il rischio (per la verità remoto, sottolinea la BBC) che le autorità britanniche decidano di aprire un'inchiesta sulla procedura che ha garantito la cittadinanza britannica all'atleta, dal momento che quest'ultimo non è mai stato un rifugiato e per di più ha mentito sulla sua vera identità. Una doppia infrazione che potrebbe portare fino alla revoca della cittadinanza. Ipotesi altamente improbabile, eppure possibile, di cui però Farah al momento non sembra curarsi, tale era la sua voglia di verità: "La differenza tra me e tutte le persone che hanno fatto il mio stesso percorso è stata che io sapevo correre. Altri non hanno avuto la mia stessa fortuna. So di aver preso il posto di qualcun altro, mi chiedo spesso che fine abbia fatto il vero Mohamed".
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